Tra i 5 referendum di inizio giugno ce ne sono due che, ancor più degli altri, possono avere un impatto diretto sulle nostre tasche. Sono regole legate al mondo del lavoro e in particolare ai licenziamenti. Guarda il video.
Col primo dei cinque quesiti referendari si chiede di abrogare, ossia di cancellare, una parte del “Jobs Act”, la legge sul lavoro voluta nel 2014 dal governo Renzi.
Con le rigole in vigore, l’impiegato a tempo indeterminato di un’impresa grande, con più di 15 dipendenti, se viene licenziato illegittimamente non può essere reintegrato nel suo posto di lavoro, ma può solo vedersi riconosciuto dal giudice un indennizzo, una somma di denaro a titolo di risarcimento. La somma aumenta in base all’anzianità aziendale: si va da un minimo di 12 a un massimo di 36 mensilità di stipendio.
La regola vale per tutti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo del 2015. Per chi invece è entrato in azienda più di 10 anni fa, è tuttora valido l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori nella sua versione originale, molto famoso, che dà la possibilità di essere reintegrati, ossia di tornare al proprio posto di lavoro se il giudice dichiara infondato e ingiusto il licenziamento.
In caso di cancellazione di questa regola, l’art.18 tornerebbe a essere applicabile a tutti i dipendenti a tempo indeterminato delle imprese più grandi.
Il tetto al risarcimento nelle piccole imprese
I lavoratori delle aziende più piccole, quelle che hanno meno di 16 dipendenti, sono interessati dal secondo quesito. Parliamo di micro-imprese, ad esempio un’officina, o un negozio, o un piccolo studio professionale. Se si viene licenziati in modo ingiustificato si può ottenere un indennizzo del valore fino a un massimo di 6 mesi di stipendio. Ad esempio, se guadagno mille euro al mese, il risarcimento potrà arrivare fino a 6 mila euro, non di più. Il secondo Referendum chiede che questo limite venga eliminato, per cui, se vincesse il Sì, chi ha perso il lavoro in un’azienda piccole potrebbe ottenere un risarcimento più consistente di quello attuale.