La ricerca si chiama "Insieme per un futuro sostenibile: giovani e lavoro" ed è stata compiuta da Gi Group Holding e Fondazione Gi Group
I Paesi che investono sulla specificità professionale dei sistemi educativi riescono meglio degli altri a ridurre la distanza scuola-lavoro, contrastare il fenomeno NEET e sostenere l’ingresso e la permanenza dei giovani nel mondo del lavoro. Emerge dallo studio internazionale "Insieme per un futuro sostenibile: giovani e lavoro" di Gi Group Holding e Fondazione Gi Group.
Lo studio
Secondo la ricerca in Paesi come Germania, Svezia o Paesi Bassi a livello complessivo le misure chiave risultano essere la creazione o il rafforzamento di un sistema duale, la costruzione di programmi di formazione professionale insieme alle aziende, la differenziazione dell'istruzione superiore attraverso percorsi professionalizzanti e un’attenzione focalizzata ai percorsi di orientamento. Funzionale in questi Paesi è anche la presenza di un sistema scolastico decentrato, dove le scuole, pur finanziate dallo Stato, hanno ampie autonomie nella gestione delle risorse, nella definizione dei curricula e nella costruzione dei percorsi educativi.
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La mappatura
Lo studio, attraverso un’approfondita analisi che ha coinvolto alcuni dei massimi esperti in Italia di temi macro-economici, demografici, educativi e occupazionali, ha mappato la condizione dei giovani in sette paesi rappresentativi del 70% del PIL dell’UE (Francia, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Spagna, Svezia) e nel Regno Unito. Quattro gli ambiti analizzati – demografia, rapporto tra scuola e lavoro, NEET, mercato del lavoro – con l’obiettivo di identificare le strategie messe in atto in ciascun Paese, analizzare il loro impatto nel favorire l'occupazione giovanile e quindi aprire una riflessione sull’applicabilità delle esperienze più virtuose al contesto Italia.
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Focus su rapporto scuola-lavoro
Se esiste un’associazione diretta tra NEET e organizzazione del sistema formativo, lo studio evidenzia come non solo gli investimenti nella quantità di formazione ma anche nel tipo e nella qualità di formazione siano fortemente legati ai dati occupazionali. Investimenti virtuosi nell'istruzione terziaria portano infatti alla riduzione del fenomeno dei NEET e all'aumento dell'occupazione giovanile. Regno Unito, Svezia e Paesi Bassi sono Paesi di riferimento: spendono di più nell’istruzione superiore – rispettivamente il 1,9%, 1,5% e 1,6% del PIL3 – e hanno una ridotta incidenza di giovani che non studiano e non lavorano. In particolare, Paesi Bassi e Svezia sono quelli in cui vi sono meno NEET tra i 15 e i 34 anni (5,4% e 5,8%), fenomeno principalmente di breve termine. Inoltre, presentano i più alti livelli di occupazione, 88,3% e 86,1% contro il 71,1% italiano, e i più bassi livelli di inattività nella fascia 30-34 anni.
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I campi di studio e il mondo del lavoro
Per ottenere effetti positivi, questi investimenti nella formazione – evidenzia l'analisi - devono tuttavia essere indirizzati verso quei campi di studio che sono più legati al mondo del lavoro (come i percorsi universitari STEM) e alla differenziazione dell'istruzione terziaria, organizzando percorsi tecnici (e quindi non accademici) che forniscano competenze immediatamente spendibili e si avvalgano del coinvolgimento diretto delle aziende nella progettazione di corsi e materie. Paesi di riferimento per la formazione professionale sono la Germania e, di nuovo, i Paesi Bassi, caratterizzati da un sistema duale forte. Questi due Paesi ottengono i migliori risultati in termini di transizione scuola-lavoro, con il minor numero di NEET nella fascia di età 18-24 anni (rispettivamente al 10% e 4,6% rispetto al 27,1% dell’Italia).
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Accorciare distanza tra scuola e lavoro
Se in Germania è il 46% dei giovani 25-34 anni ad avere un diploma professionale (vocational degree) e nei Paesi Bassi uno su tre (30%), in Italia la percentuale non è molto dissimile, al 35%, ma qui (come in Francia e Polonia) la formazione professionale avviene nelle scuole, senza il sostanziale coinvolgimento delle aziende, il che porta ad ampi mismatch con le competenze richieste poi dalle imprese. La ricerca sottolinea inoltre come la profonda distanza tra scuola e lavoro in Italia abbia alle radici anche la centralizzazione del nostro sistema scolastico. Un sistema decentrato, al contrario, favorisce l'innovazione nei programmi e agevola il confronto e la contaminazione con le aziende, risultando meno statico, e quindi più facilmente e velocemente modificabile per tener conto delle evoluzioni di contesto e di mercato. I Paesi con sistemi meno centralizzati sono, infatti, anche quelli con un più alto tasso di occupazione e una minore presenza dei NEET. È il caso di nuovo dei Paesi Bassi, così come – pur nelle loro differenti specificità – dell’Inghilterra, dove 2 decisioni su 3 in materia educativa sono in capo alle scuole, e della Svezia, che da un sistema centralizzato a partire dagli anni ’90 ha avviato il passaggio a uno decentralizzato quale quello odierno.
Per un’evoluzione in positivo del quadro italiano anche l’età rappresenta un fattore da considerare. Se nel nostro Paese la scelta del percorso scolastico degli alunni avviene a 14 anni, in Germania e Paesi Bassi è tra i 10 e i 12 anni e avviene sulla base dei risultati scolastici e delle valutazioni degli insegnanti, con il rilascio di un consiglio di orientamento scolastico "vincolante".