Celebre per i suoi poteri divinatori, ripreso dalla letteratura romana e citato da Dante nella Divina Commedia, è anche protagonista di un libro di Andrea Camilleri dal titolo “Conversazione su Tiresia”. Ecco le leggende che accompagnano questo misterioso personaggio
È una delle figure mitologiche più affascinanti della letteratura greca e continua anche al giorno d’oggi a essere fonte di ispirazione per molti autori: Tiresia, il mitico indovino cieco celebre per i suoi poteri divinatori, dopo essere stato ripreso dalla tradizione romana ed essere stato citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia, è anche il protagonista di un libro di Andrea Camilleri intitolato proprio “Conversazione su Tiresia”. Ma quali sono le leggende che accompagnano questo misterioso personaggio?
Le leggende sulla nascita
La tradizione vuole che Tiresia sia nato dall’unione di Evereo, della stirpe degli Sparti, e della ninfa Cariclo. Sul perché sia stato privato della vista esistono diverse versioni: secondo una di queste, fu una punizione voluta da Era perché, interrogato dalla dea, affermò che nel rapporto sessuale la donna gode di più; secondo altri, Atena lo avrebbe reso cieco perché vista da lui nuda mentre si bagnava nella fonte Ippocrene. In entrambi i casi il compenso per la cecità sarebbe stata la facoltà divinatoria. Secondo un’altra versione ancora, invece, sarebbe stato punito dagli dei perché, come indovino, rivelava i loro segreti.
Le versioni sulla morte
Nato e cresciuto a Tebe, fu costretto a fuggire da questa città quando gli Epigoni l’attaccarono e la conquistarono. Esistono diverse versioni anche per quanto riguarda la sua morte: nella prima riuscì a scappare insieme alla figlia Manto, anche lei indovina, ma dopo aver bevuto dell’acqua gelata morì. In un'altra versione l'indovino, rimasto a Tebe con la figlia, venne fatto prigioniero e mandato a Delfi per essere consacrato al dio Apollo. Tiresia morì per la fatica durante il cammino.
Il mito ripreso dalla letteratura romana e da Dante
Nell'Odissea il suo spettro è consultato da Ulisse, quando, sceso nell’Ade, lo interroga e ne riceve profezie. Benché morto e residente nell'Ade, Tiresia conserva, a differenza degli altri spettri, una propria identità e le proprie capacità mentali. La storia di Tiresia, ripresa dai Romani, è narrata tra gli altri da Ovidio nelle Metamorfosi e da Stazio nella Tebaide. Dante si ispira proprio a quest’ultimo, ma rispetto all'opera del poeta latino elimina tutti i tratti eroici del personaggio. Lo cita vicino al suo rivale in divinazione nella guerra di Tebe, Anfiarao, tra gli indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno. Il poeta fiorentino tuttavia non fa accenno alle sue arti divinatorie ma al solo prodigio del cambio di sesso: un’altra versione del mito, secondo la quale, vedendo due serpenti accoppiati, Tiresia colpì la femmina e venne tramutato in donna, fino a quando, 7 anni dopo, riuscì a colpire il maschio della stessa coppia di serpenti e poté, così, riacquistare le sembianze maschili. Nel girone dantesco Tiresia è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro in contrappasso con il suo potere "preveggente" avuto in vita.