Marie la strabica è un grande romanzo (come quasi tutti i libri di Georges Simenon)

Spettacolo

Filippo Maria Battaglia

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IL LIBRO DELLA SETTIMANA. Il narratore belga stavolta è alle prese con il rapporto, torbido e morboso, di due donne in cerca di riscatto. Confermandosi un capofila del suo genere

Immaginatela brutta e strabica, così respingente che, da piccola, “certe bambine, a scuola, le giravano alla larga”, insinuando che avesse il malocchio. Immaginatela magra, anzi “piatta”, e con “al posto dei seni due sacchetti flosci”. Forse persino un po’ stupida, visto che, sempre “a scuola, metteva tanto impegno nel cercar di capire che finiva per sentirsi male”, e poi quando veniva interrogata restava lì, sgomenta e a bocca aperta.

È più o meno questo il ritratto che Georges Simenon fa di “Marie la strabica” nel romanzo omonimo che Adelphi manda ora in libreria (pp. 182, euro 18, trad. L. F. Guarino). E chissà perché, quando per la prima volta il libro appare in Francia nel 1952, Simenon decide di titolarlo così, visto che in realtà le protagoniste di questo torbido e grandioso romanzo sono due.

Marie e Sylvie, le due protagoniste

Accanto a Marie, infatti, c’è Sylvie, piena, procace, “un seno magnifico”. Tra di loro, più che un’amicizia, c’è una simbiosi primitiva così forte da spingerle a spartire un lavoro nell’atmosfera claustrofobica e provinciale di una locanda dall’insegna modesta che garantisce anche “ottima cucina” a “prezzi modici”.

Strette da una vita mortificata e dagli sguardi lubrichi di un oste basso e grasso, (“il più volgare di tutti”), Marie e Sylvie si ritroveranno presto a condividere un destino inatteso, sfuggito di mano dopo il suicidio di un ragazzo e una violenza subìta in una cantina, e costretto a una accelerazione improvvisa grazie una fuga a Parigi in cerca di una vita “da ricchi”.

Parigi e il terrore di essere "una sguattera"

Dopo un traumatico addio, le due si ritroveranno e riusciranno a realizzare la vecchia aspirazione: “Non essere più povera, non essere più una sguattera”.

Non cambierà granché. Alla fine, nonostante tutto, il loro piccolo mondo si ridurrà a una sola camera, la loro. E trascorreranno ogni notte con le orecchie tese ad ascoltare il respiro altrui per scongiurare la paura di perdersi di nuovo.

Uno scrittore di silenzi

Con la solita, impareggiabile, grazia narrativa, Simenon racconta la morbosità di un rapporto in grado di resistere agli anni e a un violentissimo tradimento. Per farlo, utilizza il suo collaudato spartito grazie al quale resta uno dei più abili narratori del secolo scorso. Forse in nessun altro caso, infatti, uno scrittore ha prodotto una così vasta quantità di romanzi, tutti (o quasi tutti) di buono o eccellente livello.

Le atmosfere piccolo-borghesi e di provincia, il rapporto represso con il sesso, l’ambientazione a tratti claustrofobica: gli ingredienti dei suoi libri ci sono tutti. Qui però, forse più che altrove, Simenon si ritrova scrittore di silenzi misurati e parole a mezza bocca. Ma questi sono solo dettagli, il risultato non varia. Confermando tutte le qualità di un romanziere formidabile e vertiginoso.

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