L'Ue taglia stime di crescita sull'Italia, "incertezza" parola chiave per i prossimi anni

La Commissione Ue ha pubblicato le sue previsioni d’autunno, ha cioè aggiornato le stime economiche per il 2025 e gli anni a venire. La crescita sarà complessivamente più forte nel breve termine, ma non per l’Italia. Dazi e tensioni geopolitiche hanno cambiato, forse in maniera irreversibile, il contesto internazionale e Bruxelles lancia un monito ai governi: se c’è una certezza, è che l’incertezza diventerà la normalità dei prossimi anni. Partiamo da una buona notizia. L’economia europea ha retto meglio del previsto l’urto provocato dai dazi, che si sono riverberati tanto sulle aziende quanto sui mercati finanziari. I manager d’impresa, negli scorsi mesi, si sono ritrovati con una limitata capacità di visione e quindi di possibilità di pianificare investimenti a lungo termine; le borse – dal canto loro - hanno riscontrato picchi di volatilità elevatissimi, cioè repentini scossoni al rialzo o al ribasso. Il contesto economico e geopolitico è cioè cambiato e ora come non mai occorre ricalibrare gli sforzi per stimolare la domanda interna e quindi la crescita. È questo il messaggio-chiave lanciato dalla Commissione Ue che nelle ultime ore ha aggiornato le sue previsioni d’autunno, migliorandole in molti casi rispetto alle stime dello scorso maggio. CRESCITA DEL PIL RIVISTA AL RIALZO Il prodotto interno lordo dei Paesi dell’Eurozona crescerà, secondo Bruxelles, dell’1,3% nel 2025. Sei mesi fa ci si aspettava non più di uno 0,9%. Un discreto passo in avanti nel breve termine e la cosa ancor più positiva - ha sottolineato il commissario all’Economia, Valdis Dombrovskis, in conferenza stampa - è che la crescita, seppure con velocità differenti, riguarda tutti i Paesi dell’area euro. Nel 2026 dovrebbe poi attestarsi all’1,2% e fare un piccolo passo in avanti ulteriore nel 2027 . Nessuno è escluso. Qualcuno però resta indietro e l’Italia è tra questi. ITALIA TRA I PAESI FANALINO DI CODA Il Pil del nostro Paese, nelle stime d’autunno Ue, non avanzerà oltre lo 0.4% nel 2025 e aumenterà poi dello+0.8% nel 2026. L’Italia ha perso slancio, seppure continuino ad arrivare segnali positivi che mostrano rinnovata fiducia sull’economia e sulla politica nostrana: da uno spread molto più basso rispetto al passato ai giudizi benevoli dei rappresentanti delle istituzioni finanziarie internazionali e delle agenzie di rating. A tal proposito val la pena ricordare che attendiamo per venerdì 21 novembre il giudizio di Moody’s a mercati chiusi e sarà un altro test importante per l’Italia. Buone nuove però ci sono e riguardano il rapporto del deficit sul Pil: sarà al 3% quest’anno, scenderà al 2,8% nel 2026. Un trend di riduzione positivo, sottolineato dalla Commissione Ue, che permetterà all’Italia di uscire un anno prima dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo. LEVE PER SOSTENERE LA CRESCITA C’è in sostanza uno slancio positivo verso la crescita, anche per chi corre meno degli altri come l’Italia, ma i venti contrari soffiano e restano forti tanto da poter spostare gli equilibri delineati da Bruxelles: gli Stati Uniti di Donald Trump non sono più lo stesso partner affidabile del passato e la guerra in Ucraina prosegue senza reali spiragli di soluzione all’orizzonte. Solo per citare due dei fattori di maggiore incertezza. Torna centrale allora spingere sulle leve che possano innescare uno sprint alla crescita interna. Il commissario Ue all’economia, Valdis Dombrovskis, lo ha comunicato chiaramente nel corso della conferenza stampa di presentazione delle stime d’autunno: l’Europa deve affidarsi all’Europa stessa, perché se c’è una certezza è che l’incertezza diventerà la normalità nei prossimi anni. Cosa significa? Anzitutto concretizzare l’agenda della competitività, quella che Mario Draghi ha presentato poco più di un anno fa e che stimava in 800 miliardi di euro gli investimenti necessari a mettere l’Europa in condizione di recuperare il terreno perso nei confronti di altre nazioni. E poi, semplificare e completare il mercato unico europeo: proprio su questo ha lavorato un altro italiano, l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, che su mandato del Consiglio Ue pochi mesi prima di Draghi aveva pubblicato il suo rapporto sulla necessità di fare sistema in alcuni settori e creare colossi transnazionali per competere con le grandi realtà che operano oltre i confini del nostro continente. MERCATO DEL LAVORO E INFLAZIONE Concludiamo con due note positive emerse dalle stime d’autunno della Commissione Ue: l’inflazione e il lavoro. L’indice dei prezzi al consumo, per l’area euro, dovrebbe attestarsi al 2,1% nel 2025 e poi stabilizzarsi attorno al 2% nel 2026-2027, in linea con il target della Banca centrale europea. Una buona nuova per i mercati, per le imprese e per le famiglie, considerando il leggero calo nel tasso di risparmio segnalato da Bruxelles. Infine, il mercato del lavoro che continua ad essere resiliente: l’occupazione crescerà dello 0,5% quest’anno e anche nel 2026.

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Irene Elisei