Perché l'economia mondiale resiste a tutto, guerre e dazi compresi

Ieri il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato il suo nuovo World Economic Outlook . La cosa che più ci può sorprendere riguardo alle previsioni di crescita per il 2025 e il 2026 è la resilienza degli sviluppi economici agli shock politici a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. La guerra in Ucraina, quella di Gaza, le tensioni politiche a queste connesse e, da aprile, la guerra dei dazi non sembrano aver turbato più di tanto l’economia mondiale. Il tasso di crescita del Pil previsto per quest’anno per il globo è del 3,2%, quasi inalterato rispetto a quello del 2024 e del 2023 . E saremo su questi livelli anche per il 2026 . Fra l’altro una crescita intorno al 3% è, ormai da decenni, la velocità standard di crescita dell’economia mondiale in assenza di shock rilevanti o di momenti di euforia come quello attraversato nei primi anni del secolo che culminò con la crisi del 2008-09. Stiamo quindi nella normalità, nonostante quello che è successo geopoliticamente. Un anno fa il Fondo aveva previsto un marcato rallentamento dell’economia mondiale che non si è realizzato: le attuali previsioni per il 2025 sono infatti di quasi mezzo punto percentuale superiori a quelle dell’ottobre scorso con revisioni verso l’alto particolarmente forti per la Cina, che resta su tassi di crescita vicini al 5%, e l’India . Rivisti verso l’alto, anche tutti i principali Paesi avanzati, tranne il Canada. A cosa è dovuta questa resilienza dell’economia mondiale? Il Fondo risponde che, primo, ci vorrà tempo per vedere i pieni effetti della guerra dei dazi e, secondo, ci sono anche state sorprese positive. Una in particolare: il boom dell’IA e relativi investimenti che ha, tra le altre cose, creato un clima di ottimismo sugli sviluppi futuri dell’attività delle imprese e dei profitti. Inoltre, a livello mondiale, le condizioni monetarie restano molto espansive e i movimenti dei cambi hanno in parte compensato gli shock della guerra dei dazi. Ciò detto, il WEO ci avverte che non è tutto oro quello che luccica e che i rischi verso il basso predominano: “Risks are tilted to the downside” è l’espressione classica usata dal Fondo quando vuole esprimere le sue preoccupazioni per il futuro. Quali rischi sono più rilevanti? Primo, l’entusiasmo legato all’IA, con le sue implicazioni per il mercato azionario, soprattutto negli Stati Uniti, potrebbe esaurirsi come si esaurì all’inizio del secolo l’entusiasmo per l’Internet . Secondo, le prospettive della Cina restano incerte: il settore immobiliare rimane in crisi, la domanda interna debole e il Paese non potrà sempre contare sull’espansione delle esportazioni, tornate a essere il motore della più recente crescita, soprattutto nel contesto di una guerra dei dazi che sembra essere diventata sempre più uno scontro bilaterale tra le due economie egemoni del XXI secolo. Terzo, ci sono rischi per la finanza pubblica di diversi Paesi: nell’introduzione al rapporto firmata dal capo economista del FMI, Pierre Olivier Gourinchas, non si citano esplicitamente gli Stati Uniti, ma la traiettoria del rapporto tra debito pubblico e Pil del Paese è nota a tutti. Quarto, c’è il rischio di una potenziale perdita di credibilità da parte delle banche centrali, sottoposte a pressioni crescenti in alcuni Paesi: e, anche in questo caso, gli USA non sono citati esplicitamente, ma si sa di chi si sta parlando. Tutto questo giustifica il titolo del WEO . Non è la prima volta, negli ultimi anni che l’FMI esprime un pessimismo di fondo nelle sue previsioni , senza che poi tale pessimismo trovasse una realizzazione negli sviluppi effettivi. Speriamo che il Fondo si sbagli anche in questo caso.

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Carlo Cottarelli