Nel 2035 avremo 6 milioni di lavoratori in meno. Come pagheremo le pensioni?

“L’inverno sta arrivando”, era il refrain di una famosissima serie Tv. L’inverno è già arrivato, per il nostro Paese, quantomeno quello demografico: più morti che nascite, la popolazione diminuisce e con lei la ricchezza di ognuno di noi. Il dato di partenza, presentato dall’Inapp davanti all’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta, è questo: più di sei milioni di lavoratori andranno in pensione nei prossimi 10 anni: e non saranno sostituiti appieno. La crisi demografica italiana inizia quindi a presentare il conto, salatissimo; che fare? Per Natale Forlani, presidente dell’INAPP, bisogna coinvolgere di più donne e ‘neet’ e rafforzare la spesa sociale, nell’attesa – ma ci vorranno anni – di invertire la tendenza delle nascite. Manca il ricambio generazionale: l’allarme dell’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche è grave. Il punto centrale si può riassumere così: da un lato abbiamo circa 6,1 milioni di occupati che nei prossimi 10 anni andranno in pensione ; dall’altro già sappiamo che la popolazione dei ventenni di oggi non è sufficiente per la completa sostituzione. “Inverno demografico”, lo chiamano gli esperti. Con ricadute pesantissime sul piano strettamente economico: perché aumentano le pensioni da pagare e diminuiscono i lavoratori che pagano con le loro tasse cospicua parte di queste pensioni. La spesa per le pensioni crescerà fino a superare il 17% del Pil nel 2040, tra 15 anni; poi dovrebbe fermarsi anche per l’allungamento della vita lavorativa . Con impatti evidenti sulla ricchezza del Paese. Secondo le stime dell’Ocse l’Italia sarà uno dei pochissimi – quattro su 38 – a non crescere, quanto a pil pro capite, ossia a persona, nei prossimi 35 anni: nel periodo 2024-2060 la ricchezza di ogni cittadino italiano calerà dello 0,6%, mentre la media degli altri Paesi Ocse risulterà positiva, +0,6%. Questo a causa degli effetti della scarsa natalità, la lenta ma costante diminuzione della popolazione: oggi siamo circa 59 milioni, saremo secondo le proiezioni Istat meno di 55 milioni nel 2050, tra un quarto di secolo. La fetta più anziana, gli over 65, è già al 24,7%, quasi un quarto della popolazione, e la natalità al minimo storico: 1,18 figli per donna l’anno scorso. “Secondo me non esiste un vero ‘inverno demografico’, ma possiamo parlare di ritorno alla normalità, perché negli ultimi 80 anni abbiamo assistito a una crescita della popolazione mondiale che non ha precedenti nella storia dell’uomo – dichiara a Sky TG24 Alberto Brambilla, presidente del centro studi Itinerari previdenziali –, una crescita fortunatamente irripetibile. Non è necessariamente un male. Secondo punto, in Italia siamo ultimi tra i Paesi Ocse quanto a tasso di occupazione totale, ma soprattutto siamo 8 punti sotto la media europea, e arriviamo a 18% in più di disoccupazione femminile e 25% in più di quella giovanile. Tutto questo per dire: in Italia siamo in poco più di 24 milioni a lavorare, ancora pochi, quindi abbiamo un serbatoio potenziale di manodopera da poter attivare. Per farlo, però – conclude Brambilla – occorre trasformare gli strumenti di assistenza passiva in forme di sostegno attivo, che facciano rientrare le persone inattive, soprattutto donne e giovani, nel mondo del lavoro; proprio come sottolineato dall’Inapp”. Per ottenere questa “rigenerazione della popolazione attiva”, secondo Forlani, serve la riduzione dei fattori di scoraggiamento che inducono tanti giovani e tante donne a non cercare un impiego, “aumentando il numero assoluto delle persone occupate e dei contribuenti attivi”, si legge nel rapporto Inapp. Ci sono 7,8 milioni di donne tra i 15 e i 64 anni che sono fuori dal mercato del lavoro, oggi: di queste, oltre 1,2 milioni sono disponibili a lavorare. E poi bisogna “differenziare le politiche della terza età, distinguendo tra anziani attivi e oltre 4 milioni di over 65 non autosufficienti. È su questi aspetti che bisogna intervenire per avere un deciso cambiamento di rotta”.

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Vittorio Eboli