Cosa comprende la riforma del Mes di cui si sta discutendo da giorni e che verrà votata in Parlamento mercoledì? Vediamo punto per punto.
Si chiama Mes, Meccanismo europeo di stabilità, ed è conosciuto anche come Fondo salva-Stati. La sua riforma tocca due aspetti: i prestiti ai Paesi dell’Euro in difficoltà finanziaria e gli aiuti alle banche in crisi. Come ricordato dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, tutto questo non riguarda l’utilizzo del Fondo per la pandemia, cioè la possibilità di accedere ai denari (nel nostro caso 36 miliardi) per rafforzare la sanità, di cui si è molto discusso negli ultimi mesi. La riforma del Mes è infatti un dossier che risale a prima del Covid e che già aveva provocato attriti e tensioni nella politica italiana.
Linee di credito e ristrutturazione del debito
Con le nuove regole si dovrebbe semplificare la procedura per ottenere le linee di credito in caso di difficoltà finanziarie. La scelta di richiedere il prestito, è bene chiarirlo, rimarrebbe sempre in seno ai governi e ai parlamenti nazionali. I dubbi riguardano le condizioni chieste a chi ha bisogno di questo salvagente. Prima di concedere i soldi, bisognerà capire se potranno essere restituiti, e se nascessero dei timori si potrà chiedere di tagliare il debito esistente, cioè imporre perdite a chi aveva comprato i titoli di Stato. Un’eventualità già esistente ma che - secondo i critici - verrebbe presa dai tecnici che guidano il Mes e non dalla politica, mentre chi difende la riforma sostiene che la decisione non sarebbe sottratta alla volontà di governi e parlamenti. Con la riforma infatti la valutazione sulla sostenibilità del debito di chi richiede l’accesso al credito sarà nelle mani della Commissione europea e dello stesso Mes, e comunque il taglio del debito (e il conseguente default) non sarà automatico. C’è da dire però che col Recovery Fund e gli altri aiuti europei per la pandemia il ricorso al Mes normale (non quello “sanitario”) appare, almeno al momento, un’ipotesi remota.
E se si va in default?
Altro tassello della riforma del Mes è la modifica delle regole di ristrutturazione del debito di un paese, nel caso in cui ci si trovi di fronte a un default. Oggi per permettere la ristrutturazione di un debito insolvente (cioè la procedura che porta a un accordo tra debitore e creditori per modificare le condizioni originarie di un prestito) c’è bisogno di un doppio voto. In questo modo è più semplice per un creditore bloccare la ristrutturazione e richiedere il 100% del proprio prestito, facendo perdere soldi agli altri creditori e bloccando il processo di crescita del paese debitore. La riforma del Mes intende proprio rendere più semplici questi accordi in caso di default.
Il salvagente per le banche
Ci sono modifiche anche sull’unione bancaria. In questo caso, con la riforma, si permetterebbe di aprire un paracadute quando un grosso istituto finanziario sta precipitando. Un intervento con soldi comunitari (quindi pubblici) di ultima istanza, cioè da utilizzare solo se le risorse messe da azionisti e risparmiatori (secondo le regole del bail-in) e dall’apposito fondo alimentato dalle banche non risultino sufficienti a evitare il fallimento. Si tratta del cosiddetto “backstop”, il fondo unico di risoluzione per le banche. A oggi già esistono dei fondi versati dalle banche di tutta Europa utili a questo scopo, ma sono ancora limitati e proprio per questo il Mes – se la riforma venisse approvata – garantirebbe dei soldi per i salvataggi bancari.