Google sotto la lente dell’antitrust (mondiale)
EconomiaIl motore di ricerca sta abusando di una posizione dominante? E' la risposta che tentanto di dare due indagini indipendenti del Congresso Usa e dell'Unione Europa. E che potrebbero mettere in imbarazzo l'azienda di Mountain View
di Gabriele De Palma
Settembre è stato un mese decisamente delicato per Google, entrato nel mirino di ben tre Garanti della Concorrenza per indagini su un eventuale abuso di posizione dominante. Mentre nella Commissione europea prosegue l'inchiesta sull'attività del colosso di Mountain View, in Corea del Sud alcuni ufficiali hanno visitato la sede locale di Google e hanno prelevato documenti e macchine per ulteriori indagini. Ma la battaglia più delicata è quella che è iniziata la settimana scorsa al Congresso Usa, dove Eric Schmidt – ex amministratore delegato del gruppo – ha testimoniato davanti ai senatori cercando di spiegare che i risultati delle ricerche effettuate non sono alterate a beneficio dei servizi che Google eroga.
L’AUDIZIONE AL SENATO USA - Il 21 settembre Schmidt si è recato a Capitol Hill per rispondere alle domande della Commissione Giustizia del Senato, dopo le accuse di un gruppo di concorrenti di Google nel mercato dei servizi e contenuti. La lista comprende concorrenti che operano in settori affini come Yelp, Nextag, Expedia e FairSearch, secondo cui l'algoritmo che determina la visualizzazione dei risultati è stato “aggiustato” dal colosso di Mountain View a vantaggio dei servizi che offre la stessa Google. Il motore di ricerca è il più usato del paese, con percentuali del 90 per cento, e domina il mercato pubblicitario.
LE DUE ACCUSE - Le accuse (qui un riepilogo del botta e risposta al Senato) possono essere sintetizzate in due specifiche domande, a cui Schmidt, secondo gli osservatori statunitensi, non ha dato risposte del tutto convincenti.
La prima è quella posta dal senatore Mike Lee che, dinnanzi a una schermata con i risultati di 280 ricerche di servizi erogati anche Google, ha notato come fosse insolito il posizionamento dei risultati che vedono le attività di Google ottenere sempre la terza posizione. Schmidt prima ha chiarito che i risultati non sono stati in alcun modo alterati (“we haven't cooked anything”); poi, incalzato dal senatore Al Franken che domandava se i servizi di casa venissero trattati allo stesso modo degli altri, rispondeva di non esserne del tutto certo, lasciando il senatore poco soddisfatto: “Se non lo sai tu, chi lo dovrebbe sapere?”
La seconda domanda chiave è se Google abbia un monopolio, e Schmidt ha ammesso che il dominio nel mercato della ricerca è in odore di monopolio, ma ha anche ribadito che nessun obbliga l'utente a usare Google Search. Insomma la concorrenza è distante un solo click e quindi il mercato è di fatti aperto.
La vicenda verrà ora valutata dalla Federal Trade Commission (che ha già pizzicato l'azienda per la vicenda di GoogleBuzz) e dall'Antitrust statunitense. Non è certo che le indagini portino a un accusa formale da parte delle autorità, ma sono molto probabili ulteriori approfondimenti.
INTANTO IN EUROPA – Gli approfondimenti proseguono inoltre in Europa, dove il commissario alla concorrenza Joaqin Almunia, ha recentemente dichiarato che le indagini aperte lo scorso novembre vanno avanti. Come gli Stati Uniti, anche l’Ue sta cercando di capire a se Google estenda il proprio dominio attraverso mezzi illegittimi. Lo spauracchio per l'azienda di Mountain View è il ripetersi delle cause che hanno coinvolto Microsoft (tra l'altro uno degli accusatori di Google in Europa) sia negli Usa che in Unione europea. In entrambi i casi (il primo iniziato negli anni '90 e concluso nel 2001, il secondo durato dal 2004 al 2008) Microsoft ha dovuto correggere il proprio business, ne ha subito alcune conseguenze in termini di quote di mercato e ha speso molto tempo e denaro (899 milioni di euro di sanzioni della Ue nel 2008) per tenere testa alle accuse.
COREA DEL SUD - In estremo oriente invece le indagini sull'azienda di Brin e Page hanno natura diversa. Qui non è in discussione l'abuso di posizione dominante, visto che il mercato della ricerca è in mano a due operatori locali, Daum e NHN, che insieme ne detengono il 90 per cento. L'accusa, mossa proprio da Daum e NHN, è di concorrenza sleale e riguarda un mercato specifico, quello dei dispositivi mobili Android. Google, a detta degli accusatori, ostacolerebbe l'offerta di search engine per la piattaforma mobile di cui è promotrice, impedendo alle applicazioni rivali di entrare a far parte dell'App store dello smartphone. In Aprile è stata aperta la causa, e la visita con sequestro di materiale nella sede di Seoul non è un ottimo segnale per Schmidt e soci.
Sicuramente a complicare la posizione di Google ha contribuito la sua capacità di differenziare il proprio prodotto: nato come motore di ricerca, ha poi trovato il miglior modo di piazzare la pubblicità online e nel frattempo ha acquisito un considerevole numero di aziende specializzate in servizi e contenuti, da YouTube a DoubleClick, finendo per esondare nel mercato degli smartphone prima con lo sviluppo di Android e poi con l’acquisto di Motorola. Alla fine è andata a mettersi in una posizione di potenziali conflitti di interessi che sta diventando sempre più scomoda.
Settembre è stato un mese decisamente delicato per Google, entrato nel mirino di ben tre Garanti della Concorrenza per indagini su un eventuale abuso di posizione dominante. Mentre nella Commissione europea prosegue l'inchiesta sull'attività del colosso di Mountain View, in Corea del Sud alcuni ufficiali hanno visitato la sede locale di Google e hanno prelevato documenti e macchine per ulteriori indagini. Ma la battaglia più delicata è quella che è iniziata la settimana scorsa al Congresso Usa, dove Eric Schmidt – ex amministratore delegato del gruppo – ha testimoniato davanti ai senatori cercando di spiegare che i risultati delle ricerche effettuate non sono alterate a beneficio dei servizi che Google eroga.
L’AUDIZIONE AL SENATO USA - Il 21 settembre Schmidt si è recato a Capitol Hill per rispondere alle domande della Commissione Giustizia del Senato, dopo le accuse di un gruppo di concorrenti di Google nel mercato dei servizi e contenuti. La lista comprende concorrenti che operano in settori affini come Yelp, Nextag, Expedia e FairSearch, secondo cui l'algoritmo che determina la visualizzazione dei risultati è stato “aggiustato” dal colosso di Mountain View a vantaggio dei servizi che offre la stessa Google. Il motore di ricerca è il più usato del paese, con percentuali del 90 per cento, e domina il mercato pubblicitario.
LE DUE ACCUSE - Le accuse (qui un riepilogo del botta e risposta al Senato) possono essere sintetizzate in due specifiche domande, a cui Schmidt, secondo gli osservatori statunitensi, non ha dato risposte del tutto convincenti.
La prima è quella posta dal senatore Mike Lee che, dinnanzi a una schermata con i risultati di 280 ricerche di servizi erogati anche Google, ha notato come fosse insolito il posizionamento dei risultati che vedono le attività di Google ottenere sempre la terza posizione. Schmidt prima ha chiarito che i risultati non sono stati in alcun modo alterati (“we haven't cooked anything”); poi, incalzato dal senatore Al Franken che domandava se i servizi di casa venissero trattati allo stesso modo degli altri, rispondeva di non esserne del tutto certo, lasciando il senatore poco soddisfatto: “Se non lo sai tu, chi lo dovrebbe sapere?”
La seconda domanda chiave è se Google abbia un monopolio, e Schmidt ha ammesso che il dominio nel mercato della ricerca è in odore di monopolio, ma ha anche ribadito che nessun obbliga l'utente a usare Google Search. Insomma la concorrenza è distante un solo click e quindi il mercato è di fatti aperto.
La vicenda verrà ora valutata dalla Federal Trade Commission (che ha già pizzicato l'azienda per la vicenda di GoogleBuzz) e dall'Antitrust statunitense. Non è certo che le indagini portino a un accusa formale da parte delle autorità, ma sono molto probabili ulteriori approfondimenti.
INTANTO IN EUROPA – Gli approfondimenti proseguono inoltre in Europa, dove il commissario alla concorrenza Joaqin Almunia, ha recentemente dichiarato che le indagini aperte lo scorso novembre vanno avanti. Come gli Stati Uniti, anche l’Ue sta cercando di capire a se Google estenda il proprio dominio attraverso mezzi illegittimi. Lo spauracchio per l'azienda di Mountain View è il ripetersi delle cause che hanno coinvolto Microsoft (tra l'altro uno degli accusatori di Google in Europa) sia negli Usa che in Unione europea. In entrambi i casi (il primo iniziato negli anni '90 e concluso nel 2001, il secondo durato dal 2004 al 2008) Microsoft ha dovuto correggere il proprio business, ne ha subito alcune conseguenze in termini di quote di mercato e ha speso molto tempo e denaro (899 milioni di euro di sanzioni della Ue nel 2008) per tenere testa alle accuse.
COREA DEL SUD - In estremo oriente invece le indagini sull'azienda di Brin e Page hanno natura diversa. Qui non è in discussione l'abuso di posizione dominante, visto che il mercato della ricerca è in mano a due operatori locali, Daum e NHN, che insieme ne detengono il 90 per cento. L'accusa, mossa proprio da Daum e NHN, è di concorrenza sleale e riguarda un mercato specifico, quello dei dispositivi mobili Android. Google, a detta degli accusatori, ostacolerebbe l'offerta di search engine per la piattaforma mobile di cui è promotrice, impedendo alle applicazioni rivali di entrare a far parte dell'App store dello smartphone. In Aprile è stata aperta la causa, e la visita con sequestro di materiale nella sede di Seoul non è un ottimo segnale per Schmidt e soci.
Sicuramente a complicare la posizione di Google ha contribuito la sua capacità di differenziare il proprio prodotto: nato come motore di ricerca, ha poi trovato il miglior modo di piazzare la pubblicità online e nel frattempo ha acquisito un considerevole numero di aziende specializzate in servizi e contenuti, da YouTube a DoubleClick, finendo per esondare nel mercato degli smartphone prima con lo sviluppo di Android e poi con l’acquisto di Motorola. Alla fine è andata a mettersi in una posizione di potenziali conflitti di interessi che sta diventando sempre più scomoda.