Dalla Juve a Unicredit, ecco chi trema con Gheddafi

Economia
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Siamo il primo partner commerciale e il primo acquirente di greggio. Anas, Impregilo e Finmeccanica hanno in mano commesse milionarie e Tripoli è nel capitale di molte società italiane quotate in Borsa. Così la crisi libica scuote la nostra economia

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Un Paese in fiamme, in piena guerra civile, vicino. E legato da fortissimi interessi economici. L'Italia guarda con apprensione alla Libia e non solo per i diritti umani negati o il rischio di un esodo di massa sulle nostre coste, ma anche per i tanti affari sull’asse Roma-Tripoli.
Tanti gli interessi che potrebbero essere minacciati da un’eventuale caduta del Rais, con cui il nostro governo intrattiene rapporti ottimi, come mostrano le ultime contestate visite di Gheddafi nel nostro Paese. Così insieme all’apprensione, dal governo italiano trapela prudenza: “Sono preoccupato, ma non chiamo Gheddafi per non disturbarlo” ha dichiarato il presidente Berlusconi, mentre il ministro degli Esteri Franco Frattini ha sottolineato come l’Europa non possa “interferire” nel processo di transizione democratica. Ecco una mappa degli interessi in gioco.

L’Italia rappresenta il primo partner commerciale della Libia. La quota italiana di import nel Paese si è attestata nel 2009 al 17,43% e l’analisi dei dati Istat relativi al primo semestre 2010 ha registrato un incremento del 4% delle nostre esportazioni verso la Libia. L'interscambio tra Italia e Libia nel primo semestre 2010 è arrivato a circa 6,8 miliardi di Euro, con un incremento del +12,53% rispetto all’anno precedente.

Per quanto riguarda le esportazioni dalla Libia verso l’Italia, la parte del leone la fanno gli energetici. La Libia si colloca infatti rispettivamente al primo e al terzo posto tra i nostri fornitori di petrolio e gas naturale, l’Italia è il primo acquirente del greggio libico e gli idrocarburi rappresentano circa il 99% delle importazioni italiane dalla Libia.

Di antica data i rapporti con l'Eni: presente nel Paese dal 1959, in base ad un accordo firmato nel 2007 con la principale compagnia petrolifera libica, la National Oil Corporation, il cane a sei zampe potrà produrre oro nero in Libia fino al 2042. La compagnia, inoltre, di recente ha annunciato l'intenzione di investire nel Paese 25 miliardi di dollari. Allo stesso tempo Tripoli detiene una quota di circa l'1% di Eni e non ha fatto mistero di voler salire ancora.

Il legame tra Italia e Libia passa anche per il sistema bancario. La Libia è infatti un socio forte della nostra Unicredit: attraverso Libyan Investment Authority (2,59%) e Central Bank of Libya (4,6%) il Paese di Gheddafi è diventato il primo socio, superando il gruppo emiratino Aabar di Abu Dhabi (4,99%). Il rafforzamento della posizione dei libici nel capitale è stato anche tra le cause che hanno portato alle dimissioni dell’ad Profumo.

Il trattato di amicizia e cooperazione Italia-Libia dell'agosto del 2008, ratificato in via definitiva da Roma nel febbraio 2009, stabilisce che l'Italia, come risarcimento per il passato coloniale, debba realizzare infrastrutture di base nel Paese per un importo di cinque miliardi di dollari in venti anni, determinando così anche un grosso giro d'affari per le imprese italiane in Libia. Tra le grandi opere interessate dall'accordo, la costruzione dell'autostrada costiera libica, lunga 1700 chilometri. A realizzare l'opera sarà un gruppo di imprese capeggiate dall’Anas, che si è aggiudicata la gara per il servizio di advisor.

Importanti commesse nel settore delle infrastrutture in Libia anche per il leader delle costruzioni Impregilo, che nel giugno del 2009 ha annunciato l’acquisizione di appalti in Libia per 360 milioni di euro per lavori di urbanizzazione e di sviluppo infrastrutturale nelle città di Misurata e Tripoli. In Libia, tra l’altro, Impregilo si era già aggiudicato una commessa pari a 400 milioni di euro per realizzare tre nuovi centri universitari. In passato, invece, Impregilo, da oltre 20 anni presente in Libia, ha realizzato porti, aeroporti, complessi industriali, centri e edifici ministeriali.

Altro partner  fondamentale  negli affari Italia-Libia è Finmeccanica. Nel paese oggi sconvolto dalla guerra civile, Finmeccanica si è aggiudicata vari contratti: da quello da 540 milioni di euro attraverso la controllata  per sistemi di segnalamento, telecomunicazioni e alimentazione su una linea ferroviaria per circa 1.450 chilometri, a quello di Selex Sistemi Integrati da 300 milioni di euro per un grande sistema di protezione e sicurezza dei confini. E ancora, attraverso il consorzio Ansaldo Sts e Selex Communications ha firmato con Zarubezhstroytechnology, società controllata dalle Ferrovie Russe Jsc Rzd, un contratto da 247 milioni di euro per realizzare una serie di tecnologie sulla tratta da Sirth a Benghazi, in Libia.
E il fondo sovrano Lybian Investment Authority (Lia), braccio finanziario del leader Muammar Gheddafi e nato per gestire i proventi del petrolio, è salito al 2,01% nel gruppo italiano di aerospazio, difesa e sicurezza.
Tra le costruzioni Made in Italy in Libia anche il lussuoso hotel Al-Ghazala, che sorgerà nel centro di Tripoli, e i cui lavori sono stati assegnati al gruppo Trevi.

Altro investitore nel Paese è Iveco, del gruppo Fiat, presente in Libia con una società mista e un impianto di assemblaggio di veicoli industriali. Azionisti libici con Lafico (Libyan arab foreign investment) erano anche presenti, dal 1976, nel capitale Fiat, con una quota iniziale del 9,7%. Della presenza libica in Fiat si sono perse le tracce dal 2006 quando la quota fu ridotta sotto al 2% (la soglia per le partecipazioni rilevanti da segnalare alla Consob).

Il legame Italia-Libia passa anche per il calcio. Diverse società calcistiche, complice anche la passione di Al Saadi Gheddafi (uno dei figli del leader, ex calciatore di Perugia e Udinese nonché presidente della Federcalcio lbicia), hanno potuto fruire dell’ingresso di capitali libici. La Libyan arab foreign investment company (Lafico) nel gennaio 2002 è entrata nel capitale della Juventus, rilevando una quota pari al 5,31% della società. Alle quotazioni di allora, si trattò di un investimento pari a circa 23 milioni di euro. Nel corso degli anni, la quota è cresciuta sino all’attuale 7,5%.
La Juventus ottenne fondi anche dalla Tamoil, da sempre partecipata anche da capitali libici, che ne fu munifico sponsor dal 2005 al 2007, interrompendo il contratto (originariamente decennale) a causa della retrocessione dovuta a Calciopoli.
Dal 1989 al 1995, poi, Tamoil è stata main sponsor dell’Atalanta. Sempre di Tamoil si è parlato, un anno fa, come potenziale acquirente della Roma. Capitali libici, da parte della Libyan Investment Authority, entrarono anche nella Triestina (33%).

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