Health, Leucemia Linfatica Cronica: vivere con un tumore “buono”, nuove sfide della cura
CronacaLa Leucemia Linfatica Cronica (LLC) è la forma più comune di leucemia negli adulti nei Paesi occidentali, rappresentando circa il 30% di tutte le leucemie. In Italia colpisce oltre 25mila persone, con circa 3.400 nuove diagnosi ogni anno (1.600 uomini e 1.150 donne). L’incidenza è di circa 5 casi ogni 100.000 abitanti, con un picco tra i 60 e i 70 anni e una prevalenza maschile.
E’ una neoplasia cronica a crescita lenta, che origina da un processo clonale del linfocita B e porta all’accumulo di queste cellule anomale nel sangue, nel midollo osseo e nei linfonodi. Spesso viene scoperta casualmente, attraverso esami del sangue che evidenziano un aumento dei globuli bianchi.
La diagnosi: tra paura e speranza
«La dicotomia che il paziente vive alla diagnosi di Leucemia Linfatica Cronica è rappresentata dal fatto di avere una patologia oncologica al contempo cronica. Significa per tutta la vita, ma anche vivere a lungo: cosa significa ricevere la diagnosi di un tumore “buono”?» spiega Prof. Francesco Di Raimondo, Direttore di Ematologia Universitaria e Trapianto di Midollo Osseo al Policlinico di Catania.
Molti pazienti, infatti, conducono una vita normale per anni, senza sintomi e senza terapie.
L’attesa vigile, perché non si cura subito?
«Il paziente con LLC molto spesso alla diagnosi non riceve un trattamento. Ha un tumore del sangue e non si cura? Un’attesa vigile, quanto può durare e come viene vissuta dai pazienti?» continua Di Raimondo. La strategia “watch and wait” è oggi standard: si interviene solo quando compaiono segni di progressione, per evitare terapie inutili e preservare la qualità di vita.
Quando iniziare le cure e quali sono le opzioni
Quando la malattia evolve, entrano in gioco farmaci mirati che hanno rivoluzionato la prognosi: inibitori di BTK e BCL2, spesso in combinazione con anticorpi monoclonali. «Le cure oggi sono sempre più personalizzate e meno invasive rispetto alla chemio tradizionale» - sottolinea Di Raimondo. Oggi, salvo eccezioni, il trattamento è chemio-free, con indubbi vantaggi per i pazienti. L’obiettivo è ottenere una remissione della malattia, riportando i valori del sangue e le dimensioni dei linfonodi alla normalità.
Il ruolo dei pazienti e il progetto “Bridge the Gap”
«Il coinvolgimento diretto dei pazienti può contribuire a costruire un modello di cura più equo e vicino ai bisogni reali» - afferma Dr. Davide Petruzzelli, presidente de La Lampada di Aladino ETS. Il progetto Bridge the Gap punta a unire voci diverse — aziende, medici, istituzioni e pazienti — attorno a obiettivi comuni: migliorare l’assistenza territoriale, conciliare innovazione e accesso, ridurre il carico amministrativo sui medici e garantire supporto psicologico in ogni reparto di ematologia. «Quanto è difficile, nella pratica, far dialogare questi mondi e trasformare le proposte in azioni concrete per chi vive la malattia ogni giorno? È una sfida che richiede ascolto e collaborazione» - aggiunge Petruzzelli.
L’impegno dell’industria: innovazione e responsabilità sociale
«Qual è l’interesse di una realtà come la nostra nel supportare le associazioni pazienti? È un impegno di responsabilità sociale ma anche un modo per contribuire a un sistema di cura più efficiente e innovativo» - spiega Marco Sartori, General Manager di BeOne Medicines Italy. BeOne investe in ricerca e modelli organizzativi flessibili: «Il nostro obiettivo è portare innovazione e garantire accesso alle terapie, collaborando con tutti gli attori del sistema» - conclude Sartori.
Il valore dei test genomici nel tumore al seno
Nella seconda parte della puntata abbiamo affrontato un tema cruciale per l’oncologia moderna: i test genomici. In Italia ogni anno 53mila donne ricevono la diagnosi di tumore del seno, una neoplasia che oggi si contrasta con terapie sempre più mirate ed efficaci. Uno dei progressi più importanti degli ultimi 20 anni è proprio rappresentato dai test genomici, strumenti che consentono di personalizzare le cure evitando trattamenti inutili.
«Cosa sono i test genomici e come possono aiutare l’oncologo a selezionare solo le terapie più efficaci?» - spiega la Prof.ssa Carmen Criscitiello, membro del Direttivo Nazionale AIOM. Questi test analizzano l’espressione di specifici geni nel tumore, permettendo di prevedere il rischio di recidiva e la reale utilità della chemioterapia. In questo modo, molte pazienti possono evitare trattamenti aggressivi e concentrarsi su terapie mirate. A livello nazionale, nel 2021 è stato istituito un fondo di 20 milioni di euro per garantire i test genomici alle pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale, con l’obiettivo di coprire circa 10mila test l’anno. Tuttavia, le donne eleggibili sono molte di più e le risorse non bastano più. Secondo i dati, nel 2022 solo il 50% delle pazienti eleggibili ha usufruito del test, e diverse Regioni non hanno ancora attuato il decreto, lasciando molte donne senza accesso gratuito a questa opportunità. «Il tema dell’equità è centrale: i test genomici non sono un optional, ma uno strumento di precisione che cambia la vita delle pazienti» - conclude Criscitiello.
Dalla LLC al carcinoma mammario, la medicina di oggi è sempre più personalizzata. Farmaci mirati e test genomici rappresentano la strada per terapie efficaci, meno invasive e più giuste. Ma serve un impegno comune: istituzioni, clinici, aziende e associazioni devono garantire accesso equo a queste innovazioni, perché dietro ogni numero c’è una persona.
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