Tragedia di Marcinelle, 67 anni fa 136 minatori italiani morirono in una miniera Belgio

Cronaca

Daniele Brunetti

©Getty
04 marcinelle getty

Alle 8,10 dell'8 agosto 1956, nella miniera di carbone di Bois du Cazier, scoppiò un incendio in cui persero la vita in tutto 262 lavoratori. I superstiti dell’incidente furono soltanto 13

Nel 1956, in Belgio, morirono 136 minatori italiani. Oltre ai nostri connazionali persero la vita 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 5 francesi, 3 ungheresi, un inglese, un olandese, un russo e un ucraino, per un totale di 262 minatori. La causa del disastro fu un vasto incendio che divampò all’interno di una miniera di carbone di Bois du Cazier, dove sono presenti ingenti giacimenti di carbone. Ricchezza mineraria che, nell’immediato dopoguerra, richiamò nel Paese del Nord Europa immigrati da tutto il Continente, in particolare dall’Italia.

Soccorsi molto lenti e difficili

Il fuoco scoppiò alle 8,10 dell'8 agosto 1956 nel condotto che portava l’aria dentro i tunnel sotterranei, provocando enormi colonne di fumo all’interno della miniera, profonda oltre mille metri, che resero quasi impossibili i soccorsi. I superstiti che furono tirati fuori nelle ore immediatamente successive all’incidente, furono soltanto 13. Le ricerche, effettuate con manovre imponenti, anche grazie all’aiuto di numerosi volontari, andarono avanti fino al 22 agosto nel tentativo di trovare qualche superstite in un rifugio che si trovava a 1.035 metri di profondità. Le preghiere dei famigliari però non furono esaudite e i lavoratori rimasti incastrati nei cunicoli furono dichiarati tutti morti. Secondo gli esperti, una delle criticità che portò al divampare delle fiamme, fu la presenza di strutture in legno che puntellavano le pareti dei tunnel. Un materiale che in molte altre miniere era ormai stato sostituito da materiali ignifughi.

Miniera chiusa nel 1967

Stando ai lavori di un’inchiesta, commissionata dal ministero dell’Economia belga subito dopo il disastro, l’incendiò scoppiò a causa dell’errato utilizzo degli ascensori che portavano nel sottosuolo. Proprio quella mattina venne testato, infatti, un nuovo protocollo che, messo in atto in maniera errata forse anche a causa di incomprensioni linguistiche, provocò la rottura di diversi cavi elettrici, telefonici e tubi. Uno di questi conteneva olio in pressione: le scintille entrarono in contatto con il liquido infiammabile e diedero origine all’incendio. Se la dinamica, ormai, pare piuttosto chiara, le varie inchieste sull’incidente non hanno mai stabilito con certezza le responsabilità. Nei processi che ne scaturirono l’unico condannato fu nel 1961 Adolphe Cilicis, un ingegnere che dirigeva i lavori della miniera, mentre già nel 1959 i dirigenti della miniera erano stati assolti dalle accuse di inadempienza. Dopo l’incidente, il sito minerario riprese a lavorare circa un anno più tardi, prima di cessare del tutto le attività nel 1967. Quello di Marcinelle è considerato il terzo incidente minerario per il numero di morti italiani, dopo quelli negli Stati Uniti del 1907 a Monongah (quasi 200) e del 1913 a Dawson (146 vittime). Tra coloro che persero la vita in Belgio molti erano immigrati italiani originari dell’Abruzzo e in particolare delle province di Chieti e Pescara. Basti pensare che ventidue tra i minatori deceduti venivano da Manoppello, un piccolo comune del Pescarese.

Protocollo di intesa italo-belga

Nell’immediato dopoguerra in Belgio l’estrazione mineraria visse anni particolarmente prolifici. Inizialmente il governo aveva puntato a sfruttare esclusivamente forza lavoro locale ma ben presto dovette ricorrere a lavoratori prevenienti dall’estero per garantire la piena efficienza delle miniere. In quest’ottica il primo ministro Alcide De Gasperi, nel 1946, stipulò il protocollo di intesa italo-belga del 23 giugno 1946, che prevedeva l’invio di 50mila operai, per gran parte non specializzati, in Belgio in cambio di carbone a prezzo preferenziale. Nell’accordo agli italiani veniva promesso un alloggio e la frequentazione di un corso di formazione, ma una volta arrivati a Bruxelles dovettero fare i conti con una realtà ben diversa.

Condizioni di vita proibitive e discriminazione

Per convincere gli operai italiani a trasferirsi, il governo promosse una serie di campagne di comunicazione, soprattutto attraverso manifesti affissi per le strade, che pubblicizzavano, tra i molti benefici del nuovo lavoro, salari elevati, carbone, viaggi in ferrovia gratuiti e assegni familiari. Ma coloro che accettarono trovarono condizioni di vita e lavorative al limite della sopportazione, come ricostruisce l'agenzia AdnKronos. In molti, infatti, vennero alloggiati nelle "cantines", le baracche, dove pochi anni prima erano stati sistemati i prigionieri di guerra. Anche all’interno delle miniere le condizioni non erano migliori, con turni particolarmente duri e scarse misure di igiene e sicurezza. Non a caso, tra il 1946 e il 1955 quasi 500 operai italiani morirono per cause direttamente collegate al lavoro in miniera. Infine, furono diversi anche i problemi di integrazione con la popolazione locale che non vedeva di buon occhio l’arrivo dei migranti. Al punto da negare, in gran parte dei casi, anche la locazione degli appartamenti, con cartelli espliciti che recitavano: "ni animaux, ni etranger", "né animali, né stranieri".

Cronaca: i più letti