La scuola in numeri: 10 infografiche interattive per fotografare la situazione in Italia

Cronaca

Raffaele Mastrolonardo

Quanti studenti ci sono nelle aule, quanti di loro sono stranieri e quali indirizzi scelgono? Quanto guadagnano i professori e quanto investe il nostro Paese nell’istruzione rispetto all’Ue? Attraverso dati e statistiche cerchiamo di capire lo status delle nostre classi

Qual è la situazione della nostra scuola? L’inizio di un nuovo anno scolastico è un buon momento per cercare di capirlo. E le statistiche e i numeri possono fornire indicazioni utili. Dal numero decrescente degli studenti alle scelte di genere delle scuole superiori, dall’ascesa di alunni stranieri alla magra spesa pubblica in istruzione, dalla prestazioni dei ragazzi italiani nei test internazionali fino ai salari degli insegnanti, ecco 10 grafici che ci danno una mano a scattare una fotografia della nostra scuola.   

Aule più vuote

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La natalità nel nostro Paese è in calo ormai da un po’ e la scuola italiana non è immune da questa tendenza. Vale a dire, raccoglie sempre meno studenti. Negli ultimi anni il numero totale di allievi che frequentano le scuole primarie e secondarie di entrambi i gradi è in diminuzione, come testimoniano i dati del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. L’andamento si riflette, ovviamente, anche nelle iscrizioni ai primi anni, anche queste in calo. Sono 1 milione e 553 mila circa per l’anno scolastico che sta per iniziare rispetto a 1 milione e 567 dell’anno passato. Particolarmente acuto il calo nella scuola primaria che nel 2019-20 vedrà nelle prime classi ben 23 mila iscritti in meno, con un decremento del 4,6%. Insomma, aule più vuote.  

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Scuole multietniche

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Se gli studenti sono, complessivamente, in calo, gli alunni stranieri invece continuano a crescere, sia in numero totale che in percentuale. Ovvero la scuola, come la società italiana in generale, è sempre più multietnica. Lo certificano, oltre ai cognomi dei ragazzi e dei bimbi durante l’appello in classe, i dati relativi all’anno scolastico 2018/19 che raccontano che nelle sole scuole statali (escluse cioè le paritarie) c’erano 787 mila 936 allievi di nazionalità non tricolore. Il dato è in crescita rispetto ai 757 mila 571 del 2017/18 e ai 736 mila 313 del 2016/17. Dunque, sempre più stranieri ma ad un ritmo più lento rispetto al passato. Come si evince dal grafico, e come spiega un rapporto del MIUR dedicato al fenomeno pubblicato nel luglio scorso, l’incidenza degli stranieri tende comunque a stabilizzarsi: l’aumento di allievi non italiani nel decennio 2008/90-2017/18 è stato del 33,7%, nel decennio precedente il salto era stato del 500%.  

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Passione liceo

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Prima viene il liceo, poi tutti gli altri. I numeri dell’anno scolastico 2019/20 confermano che le preferenze degli studenti vanno proprio a questo tipo di scuola, quella che dovrebbe dare una formazione più generale e preparare i ragazzi all’università. Ai licei, in tutte le loro varianti, si indirizza ormai più della metà degli allievi delle superiori: il 54,6% tra i nuovi iscritti nell’anno scolastico che sta per cominciare. Questo dato conferma il trend degli ultimi anni: la percentuale dei liceali iscritti al primo anno infatti sale rispetto al 53,4% del 2017/18 e al 53,9% del 2018/19.  

Più staccati gli altri tipi di scuola. Il 31% dei nuovi iscritti della scuola superiore si orienta infatti verso gli Istituti Tecnici e solo il 14,4 per cento sceglie le Professionali.  

Tendenza scientifico

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Ma la passione per il liceo non è distribuita in modo uniforme tra i vari indirizzi di questo tipo di scuola. E’ lo scientifico quello che, complessivamente, attrae il maggior numero di nuove iscrizioni: il 25% per l’anno che sta cominciando tenendo conto di tutte le varie declinazioni di questo liceo. Quasi uno studente su 10, invece, si rivolge al Linguistico (9,2%) mentre al Classico arriva il 6,7% di ragazzi e ragazze che si iscrivono alle superiori, un dato in leggera ascesa rispetto agli anni precedenti. Buon risultato anche da parte dello Scientifico con indirizzo Scienze Applicate (8,2%). Tra gli istituti tecnici, invece, il settore tecnologico ottiene più consensi rispetto a quello economico: 19,7% contro 11,3%.  

Che genere d’istruzione?

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L’istruzione italiana è divisa per genere. Molto divisa. Troppo? Forse. A parte il Liceo Scientifico comune (51% maschi e 49% femmine) e gli Istituti Tecnici di indirizzo Economico (53% femmine, 47% maschi), tutti gli altri tipi di scuola mostrano notevoli differenze in un senso o nell’altro. Al Liceo Classico, per esempio, 7 alunni su 10 sono femmine. Al Liceo Scientifico di indirizzo Scienze Applicate il contrario: 67% maschi, 33% femmine. Totale dominio rosa invece alla sezione Coreutica del liceo Musicale (90,6% donne) e nelle Scienze Umane (88,6%). Gli Istituti Tecnici con indirizzo tecnologico, al contrario, parlano maschile all’83%.  

Queste differenze meritano di essere monitorate perché rischiano di avere delle conseguenze sulle scelte successive degli studenti e, sul medio periodo, sul mondo del lavoro. Già a livello di scuola superiore sembra infatti delinearsi quella divisione di genere che all’università porta le ragazze (che rappresentano, si noti, la maggioranza dei laureati complessivi) ad essere fortemente minoritarie nel gruppo disciplinare di ingegneria (solo il 26,6%) e in quello scientifico (26,9%). Un fenomeno che fa sì che le donne siano sottorappresentate in molte delle professioni ad alto contenuto innovativo (e ad alti salari).  

Prestazioni a confronto

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Come funziona il nostro sistema educativo nel suo complesso? Non è facile dare una risposta a questa domanda, anche perché i parametri con cui valutare l’istruzione sono molti e alcuni non riguardano solo l’apprendimento. Detto questo, se ci focalizziamo solo sulle competenze acquisite dagli allievi nella scuola italiana, un buon metro di paragone sono i test PISA, somministrati in vari Paesi del globo, che permettono di fare valutazioni comparate del livello raggiunto dagli studenti di 15 anni in ambiti come la matematica, la comprensione del testo e le scienze.  

Risultato: i nostri ragazzi non brillano. Se li si mette a confronto con i coetanei dei Paesi OCSE, risultano giusto nella media per quanto riguarda le competenze matematiche e sotto la media per ciò che concerne le scienze e la lettura.  

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Nel complesso, non va dunque benissimo. Va precisato comunque che i test PISA si svolgono ogni 3 anni e che gli ultimi risultati disponibili risalgono al 2015. I prossimi indicatori, relativi, al 2018, saranno resi pubblici a inizio dicembre. Sarà interessante osservare se ci sono stati miglioramenti da parte degli studenti italiani.  

Investimenti nella scuola

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La scuola è un sistema complicato che per funzionare richiede, oltre che pianificazione, anche e soprattutto risorse. E da questo punto di vista, si può dire che l’istruzione italiana avrebbe bisogno di maggiori investimenti. A confermarlo è, un’altra volta, il paragone con gli altri Paesi europei. L’Italia infatti veleggia negli ultimi posti della classifica che misura la spesa per l’educazione in percentuale sul Prodotto interno lordo (Pil): appena il 3,83% secondo i dati di Eurostat. Un investimento inferiore rispetto a nazioni di dimensione paragonabile alla nostra: meno della Germania (4,45%), del Regno Unito (5,4%) e della Francia (5,43%). Lontanissimi, poi, dai Paesi nordici che destinano alla scuola un quota di Pil tra il 6 e il 7%.  

Professione insegnante

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Quali sono i fattori che contribuiscono ad un sistema scolastico migliore e a studenti più preparati? Sono molti e variegati ma, come ripete spesso la neuroscienziata canadese Adele Diamond, uno è chiaro e imprescindibile: avere insegnanti di qualità, socialmente rispettati e ben pagati. Da quest’ultimo punto di vista, come sono messi gli insegnanti italiani? Le analisi comparative svolte dalla Education, Audiovisual and Culture Executive Agency (Eacea) della Ue mostrano che chi siede a tempo pieno dietro la cattedra in Italia inizia mediamente la propria carriera ad un livello analogo ad altri Paesi europei di dimensioni simili alle nostre, come Regno Unito e Francia, mentre in Germania e Spagna i colleghi guadagnano mediamente di più.  

Nel prosieguo del percorso i docenti tricolori nei vari ordini di scuole restano, sempre in media, al livello dei loro omologhi francesi e più indietro rispetto agli altri. Infine, se si considera lo stipendio massimo ottenibile, maestri e professori del nostro Paese ottengono meno, in tutti gli ordini di scuole, rispetto ai loro colleghi tedeschi, spagnoli, francesi e inglesi. Un’avvertenza: come precisa la stessa Eacea, le comparazioni internazionali sui salari sono da prendere con cautela anche quando, come in questo caso, i dati siano considerati a parità di potere di acquisto. Qualche indicazione, tuttavia, la offrono.  

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