Delitto di Cogne, 20 anni fa veniva assassinato il piccolo Samuele Lorenzi

Cronaca

Il 30 gennaio 2002 il bambino veniva trovato morto con ferite alla testa. Il caso è subito diventato un giallo. La condanna definitiva per la madre Annamaria Franzoni è arrivata nel 2008. Nel 2019 la donna ha finito di scontare la pena

Con la liberazione di Annamaria Franzoni il 7 febbraio 2019, dopo che la donna ha scontato la sua pena, si è chiusa la vicenda giudiziaria legata al delitto di Cogne, l’omicidio del piccolo Samuele Franzoni per il quale la madre era stata condannata in via definitiva nel 2008 a 16 anni di reclusione, ridotti a meno di 11 grazie a 3 anni di indulto e ai giorni concessi di liberazione anticipata. Ma alcuni punti di quello che dal 30 gennaio 2002, giorno della tragedia, è stato ribattezzato il “giallo di Cogne”, rimangono irrisolti. A partire dall’arma del delitto, mai ritrovata, fino all’effettivo orario della morte del piccolo Samuele. La vicenda ha avuto una risonanza mediatica notevole e ha diviso il pubblico tra innocentisti e colpevolisti. Annamaria Franzoni, infatti, si è sempre dichiarata innocente.

I fatti: la morte di Samuele il 30 gennaio 2002

Tutto comincia alle 8:28 della mattina del 30 gennaio 2002. Al centralino valdostano del 118 arriva una chiamata sconvolta di Annamaria Franzoni: ''Mio figlio ha vomitato sangue e non respira. Fate presto. La prego, sta male. È tutto insanguinato, non respira''. Franzoni vive insieme al marito a Montroz, frazione di Cogne, insieme ai due figli: Davide, 6 anni, e appunto Samuele, 3 anni. Poco dopo le 8:15 la donna aveva accompagnato il figlio maggiore alla fermata dello scuolabus. Samuele viene trovato riverso nel lettone dei genitori, con profonde ferite sul capo. I primi ad intervenire sono i vicini, tra cui il medico Ada Satragni, che presta le prime cure al bambino e diagnostica un possibile aneurisma cerebrale. Samuele viene dichiarato morto all’ospedale di Aosta, dove nel frattempo era stato portato in elicottero, alle 9:55 ''per trauma cranico maggiore con ferite di verosimile natura da punta e da taglio''.

Il primo arresto

Un mese e mezzo dopo il delitto, il 14 marzo 2002, Annamaria Franzoni viene arrestata. Questo il tempo servito agli inquirenti per mettere insieme gli elementi: il sangue sul pigiama, le macchie sugli zoccoli della madre, gli otto minuti passati fuori casa per accompagnare l'altro bambino. 

La liberazione e l’entrata in scena dell’avvocato Taormina

L'avvocato Carlo Federico Grosso, ex vicepresidente del Csm, fa liberare Annamaria Franzoni in due settimane: mancanza di indizi, scrivono i giudici del tribunale del riesame. ''Per individuare l'assassino la procura di Aosta deve avere uno scatto di fantasia'', dice Grosso. Ma la procura di Aosta ricorre in Cassazione e vince: il 10 giugno 2002 la Suprema Corte annulla l'ordinanza del Riesame e rinvia gli atti allo stesso Tribunale del riesame di Torino per una rilettura della vicenda. La famiglia di Annamaria Franzoni a questo punto chiama l'avvocato Carlo Taormina ad assisterla. Grosso, pochi giorni dopo, lascia la difesa della mamma di Samuele.

La sentenza di primo grado: 30 anni di carcere per Franzoni

Il 19 settembre 2002 il "secondo" Tribunale del riesame di Torino dà torto ad Annamaria Franzoni e fa rivivere l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip. Franzoni però fa un nuovo ricorso in Cassazione e non torna in carcere. Il 31 gennaio 2003 la Cassazione ritiene sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagata, ma restituisce di nuovo gli atti al Tribunale del riesame di Torino perché faccia una nuova valutazione sulle esigenze cautelari. Il 10 febbraio 2003, prima che arrivi la nuova decisione dei giudici torinesi, il gip ritiene superate le esigenze cautelari e revoca l'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell'indagata. Franzoni attende quindi il processo in libertà. L'appuntamento con il giudice per la sentenza di primo grado è il 19 luglio 2004. Taormina sceglie il giudizio abbreviato, si decide sulla base delle carte raccolte dalla Procura. Al gup Eugenio Gramola basta un'udienza: Annamaria Franzoni è colpevole e deve essere condannata a 30 anni di carcere.  

L’inchiesta Cogne-bis e la condanna per calunnia

“Troveremo l'assassino”, annuncia l’avvocato Taormina, che raduna una squadra di collaboratori. Dopo un sopralluogo a Cogne il 28 luglio 2004, compone una denuncia sulla plausibile colpevolezza di un vicino di casa. Ma le carte arrivano alla procura di Torino che ipotizza un inquinamento della scena del delitto: nasce l'inchiesta Cogne-bis, che anni dopo si chiude con una serie di proscioglimenti e la sola condanna della Franzoni a due anni per calunnia.

Appello e Cassazione confermano il carcere

Il 16 novembre 2005 parte il processo d'Appello. Sarebbe un rito abbreviato, ma la Corte accoglie la richiesta della difesa e riapre il dibattimento: si ascoltano nuovi testimoni, si rifà la perizia psichiatrica. L’avvocato Taormina, dopo numerose proteste, il 20 novembre 2006 rimette il mandato. Al suo posto viene nominato un legale d'ufficio, Paola Savio, che insieme al collega Lorenzo Imperato ha assistito finora Annamaria Franzoni. La sentenza viene pronunciata il 27 aprile 2007: la mamma di Samuele è ritenuta di nuovo colpevole, ma questa volta le vengono riconosciute le attenuanti e la pena è ridotta a 16 anni. Dopo sei anni e quattro mesi di processo giudiziario e mediatico, infine, il 21 maggio 2008, la Corte di Cassazione conferma la sentenza della Corte di appello di Torino e quella notte Annamaria Franzoni entra nel carcere di Bologna.

L’ultimo periodo in carcere di Annamaria Franzoni

La battaglia si sposta quindi alla Sorveglianza, con le richieste di permessi, respinte con l'unica eccezione del funerale del suocero, il 31 agosto 2010. Così come viene rigettato, a settembre 2012, il ricorso per la detenzione domiciliare speciale per assistere il figlio minore. A ottobre 2013, la svolta, con l'ok al lavoro esterno al carcere e i primi permessi. Successivamente, una perizia sostiene che la donna non potrà più commettere un delitto come quello del 2002. E il ricorso viene accolto con l'autorizzazione a trascorrere l'ultima parte della pena agli arresti domiciliari, a Ripoli, sull’Appennino bolognese, dal 2014 per i successivi cinque anni, fino alla liberazione nel febbraio 2019. Franzoni aveva già ottenuto il beneficio del lavoro esterno in una coop sociale e alcuni permessi per stare a casa con i due figli, di cui il minore nato un anno dopo il delitto.

I nodi irrisolti

Sulla vicenda, restano però alcuni nodi irrisolti. Il principale è il mancato ritrovamento dell’arma del delitto: forse, secondo l’ipotesi della Cassazione, un oggetto tagliente con il manico mai individuato tra quelli repertati dagli investigatori. Poi, l’orario del delitto: l'accusa ha sempre sostenuto che l'alibi di Annamaria Franzoni - assente di casa quel 30 gennaio 2002 dalle 8.16 alle 8.24 per accompagnare l'altro figlio, Davide, alla fermata dello scuolabus - non era sufficiente per dichiararne l'estraneità al delitto. La donna, infatti, potrebbe aver colpito prima di uscire. Tra gli argomenti più controversi anche gli schizzi di sangue rinvenuti sul pigiama e gli zoccoli di Annamaria Franzoni. Per l’accusa, la donna indossava quegli indumenti, che si macchiarono quando colpì il figlio. Per la difesa, invece, il pigiama si trovava sul letto e gli zoccoli vennero calzati dalla Franzoni al ritorno a casa dalla fermata dello scuolabus e solo successivamente si sporcarono di sangue.

Le conclusioni contrapposte di accusa e difesa

Queste, quindi, le conclusioni contrapposte a cui erano giunte accusa e difesa: per l'accusa Annamaria Franzoni uccise il figlio prima di uscire di casa. Indossava il pantalone del pigiama, e agì stando inginocchiata sul letto. Questa posizione impedì che una parte del piumone si imbrattasse del sangue di Samuele. La difesa: Annamaria Franzoni non uccise il figlio, il quale fu colpito mortalmente da una persona che si introdusse nella villetta della famiglia Lorenzi, mentre la mamma era uscita di casa per accompagnare l'altro figlio alla fermata dello scuolabus. L'assassino non calzava gli zoccoli di Franzoni né indossava il suo pigiama, che era sul letto e si macchiò di sangue ma preservò dagli schizzi una parte del piumone.

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La disputa sulla villetta di Cogne

Del delitto di Cogne e di Annamaria Franzoni si è continuato a parlare anche negli anni successivi alla liberazione della donna. Nel giugno 2021 è terminato il contenzioso tra la famiglia Franzoni e l'avvocato Carlo Taormina con cui la villetta di Cogne rischiava di essere messa all'asta. Il tribunale di Aosta ha infatti dichiarato estinta la procedura esecutiva, avviata su richiesta del legale che lamentava il mancato pagamento di onorari difensivi per oltre 275mila euro, divenuti circa 450mila nell'atto di pignoramento. "I coniugi Franzoni hanno iniziato a pagare", aveva detto l'avvocato Taormina. La villa era stata dissequestrata il 23 marzo 2013, alla presenza di Stefano Lorenzi. Da allora era tornata nella piena disponibilità della famiglia, fino al pignoramento, poi revocato. Franzoni inoltre aveva denunciato nell'aula del tribunale di Aosta l'esistenza di un turismo macabro alla villa di Cogne. Ed era comparsa in qualità di testimone e parte civile nel corso di un processo per violazione di domicilio a carico di una giornalista e di un telecineoperatore, poi assolti.

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