Ada, affetta da Sla: "L'ok all'eutanasia in Italia vuol dire serenità"

Abbiamo intervistato Ada Covino, una donna di 44 anni affetta da Sla che a gennaio 2025 aveva chiesto di poter accedere al suicidio medicalmente assistito; a maggio aveva ottenuto un rifiuto perché l’Asl Napoli 3 Sud non le aveva riconosciuto due dei requisiti richiesti dalla Consulta: la volontà consapevole e la dipendenza da sostegno vitale. Ma con l’aiuto dell’associazione Luca Coscioni e l’avvocata Filomena Gallo, ha chiesto e ottenuto una rivalutazione delle sue condizioni di salute, e così martedì è arrivato il via libera. Innanzi tutto, come sta? Ci sono giorni migliori e giorni peggiori. Oggi è una buona giornata, grazie. Come e quando è iniziata la sua malattia? A dicembre 2023 mi sono operata per un prolasso alle corde vocali. Dopo una decina di giorni ho iniziato a inciampare, perdevo gli oggetti di mano e la mia voce peggiorava invece di migliorare. L’otorinolaringoiatra intuì subito che poteva trattarsi di un problema neurologico. Con l’aiuto di mia sorella abbiamo fatto tutte le indagini privatamente: i tempi del servizio sanitario nazionale erano troppo lunghi, e l’esperienza di mia sorella ci ha insegnato che in questi casi la tempestività è tutto. Con i risultati alla mano, sono stata ricoverata al Policlinico Federico II, che ha ripetuto tutti gli esami. Il 14 giugno 2024 ho ricevuto la diagnosi di SLA. Tre mesi prima avevo comprato un paio di sandali stiletto con tacco 12. La sua vita è cambiata radicalmente, sia dal punto di vista pratico che interiore. Com’era prima e com’è ora? Non si può paragonare la vita prima e dopo la SLA, soprattutto una forma così veloce. Da un giorno all’altro cambia tutto: non sei più tu. Io la vita la divoravo a grandi bocconi. Da sola o in compagnia, non mi privavo di nessun piacere. Amavo il mio lavoro e lo facevo con passione. Stacanovista, impegnata socialmente, amante degli animali, frivola, vanitosa e viziosa nella mia vita privata. I miei grandi amori erano le mie amiche. Il tempo non bastava mai. Mi svegliavo cantando e andavo a letto ballando. Ora sono una bambola su una sedia. Dipendo da tutto: bere, mangiare, andare a letto o in bagno. Non c’è paragone alcuno. Perché ha chiesto il suicidio assistito? Perché non voglio sopravvivere al mio corpo. Perché sono un’operatrice socio-sanitaria e so cosa ci aspetta. Perché ho il diritto di dire basta al dolore e all’umiliazione. Cosa rappresenta per lei questa risposta? Serenità, non devo più avere paura del futuro, perché quando il mio corpo cederà definitivamente io potrò decidere di seguirlo e senza chiedere il permesso a nessuno. Sono legalmente padrona del mio corpo e della mia vita. Ora qual è l’obiettivo importante per lei e per tutte le persone che come lei lottano per questo diritto? È una grande vittoria per tutti. La libertà di scelta non è una strada a senso unico. Io voglio decidere quando smettere di soffrire, qualcun altro vorrebbe affrontare il proprio fato fino alla fine. Qualsiasi sia la nostra opinione personale, deve essere una nostra scelta. Qual è la sua speranza adesso e cosa vorrebbe dire a chi sta leggendo questa intervista? Per arrivare a questo traguardo ho dovuto investire 8 mesi, che nella mia condizione è letteralmente una vita. Ho dovuto portare la mia storia prima in tribunale. Ho dovuto fare molto rumore per farmi sentire. La fine di una vita dovrebbe essere un momento intimo. Serve una legge che riconosca il diritto all’eutanasia, che tuteli tutti indiscriminatamente e ci protegga dal calvario che ho vissuto — e che altre persone hanno vissuto prima di me. Vorrei ringraziare l’associazione Luca Coscioni, chi ha dato spazio al mio messaggio e tutte le persone che mi hanno supportata e che hanno condiviso la mia storia. Tutti hanno contribuito a questo importante traguardo. Dal più profondo del mio cuore, grazie.

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Gaia Bozza