Perché l’amianto è sempre più letale a 30 anni dalla messa al bando in Italia?

Ogni anno più persone muoiono per esposizione all’amianto. Secondo le stime Onu, le vittime sono oltre 200mila in tutto il mondo, a cui bisogna aggiungere quelle – mai conteggiate – dei molti Paesi che omettono di segnalare e registrare i decessi per esposizione ambientale. In Italia, i numeri ufficiali sono quelli forniti dal rapporto Renam , che raccoglie solamente i casi di mesotelioma pleurico, il tumore “sentinella” dell’amianto , e non rileva altre patologie asbesto correlate. In altre parole, le cifre sono sottostimate. Eppure, nel nostro Paese le morti conteggiate nel 2024 hanno superato quota 7mila, la cifra più alta in tutta Europa. “Anche i dati Onu, in realtà, sono sottostimati – commenta l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale dell’amianto , in occasione della Giornata mondiale in memoria delle vittime dell’amianto del 28 aprile – perché non considerano patologie che la Iarc , al contrario, contempla come correlate all’amianto. Tra queste ci sono il cancro della laringe, della faringe, dello stomaco, del colon e delle ovaie”. L’Italia è tra i 62 Paesi al mondo che hanno messo al bando l’amianto – in particolare, lo ha fatto nel 1992 – ma, secondo le stime Ona, siamo ancora lontani dal picco delle vittime: “Per come stanno ora le cose, potrebbe arrivare nel 2030 – sostiene Bonanni a Sky tg24 Insider – ma rischiano, anche queste, di essere cifre sottostimate”. Perché l'amianto è ancora così letale Il periodo di latenza del mesotelioma, ovvero il tempo che passa dall’esposizione alla fibra fino alla comparsa dei sintomi, è compreso tra i 40 e i 50 anni. Non è, però, questa l’unica ragione per cui il picco di vittime non è ancora stato raggiunto. Un motivo sta nell’impatto dell’amianto prodotto in altri Paesi: “Molti Stati, come Cina o Russia o India, continuano a fabbricare materiali contenenti la fibra killer – spiega Bonanni – Come non pensare che i ferodi dei freni degli aerei in fase di atterraggio possano contaminare le piste aeroportuali ed esporre i passeggeri all’inalazione”. Al contempo, però, anche le fibre italiane continuano a mietere vittime. Sono quelle prodotte prima del 1992, che ancora non sono state smaltite o bonificate: secondo le stime Ona, si tratta di oltre 40 milioni di tonnellate di materiale contenente amianto, sparso in tutto il Paese, che aumenta ovunque il rischio dell’esposizione ambientale. “La legge 257/92 – commenta il presidente Ona – non è stata applicata ancora per larga parte. Sono stati censiti ufficialmente in Italia circa 100mila siti. Ma dalle stime One, invece, risultano più o meno un milione di siti e micro-siti con amianto. E ancora 58 milioni di metri quadrati di coperture in cemento-amianto”. Scuole e ospedali a rischio La maggior parte delle vittime ha contratto il mesotelioma in seguito a un’esposizione prolungata sul luogo di lavoro. Ma, secondo la Iarc, anche l’inalazione di un piccolissimo numero di fibre può essere letale per le persone esposte. “E in Italia l’amianto è sempre tra noi – continua Bonanni – Dentro a edifici pubblici e case private, scuole, ospedali, treni, tetti e tubature”. I dati più precisi sulla diffusione dell’amianto in aree pubbliche sono quelli della mappatura Ona, costantemente aggiornata tramite segnalazioni verificate. Secondo l’Osservatorio, si trova amianto in oltre 250 ospedali, in 300mila chilometri di tubature della rete idrica e in moltissime scuole. “Solo nelle ultime settimane – racconta Bonanni – ci sono arrivate quattro segnalazioni di mesotelioma tra docenti scolastici”. Non in tutte le Regioni, poi, si rischia allo stesso modo. La Lombardia è la più virtuosa nello smaltimento, avendo raggiunto quota 33,2%, ma anche quella con il pericolo più alto, superando quota duemila decessi nel 2024. Seguono Piemonte, con circa mille vittime, ed Emilia-Romagna con 660. Accelerare la bonifica La legge del 1992 vieta l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto. Ma non solo: indica anche le procedure per la bonifica degli edifici e lo smaltimento dei rifiuti. Eppure, in tema di smaltimento, la norma è rimasta in larga parte inattuata. Secondo l’Osservatorio nazionale dell’amianto, è necessario oggi un nuovo intervento del Parlamento per accelerare le bonifiche. “Immagino iniziative come un credito di imposta per gli imprenditori, o per i cittadini, per incentivare la bonifica – rilancia l’avvocato Bonanni – Altrimenti, si potrebbe imporre un aumento del premio per chiunque abbia ancora amianto, finché non ha portato a termine le bonifiche. Così, premieremmo le aziende virtuose”. Qualche agevolazione, in realtà, è già prevista. Si tratta del bando Isi Inail 2025, che prevede 333 milioni di euro a fondo perduto per finanziare, con quote dal 65% all’80%, investimenti per il miglioramento della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono soldi del Pnrr, ma secondo Bonanni non sono sufficienti: “C’è ancora un problema di legislazione su questa materia, che è un po’ caotica e in larga parte si sovrappone”. Non tutte le vittime sono uguali Per le famiglie delle vittime, poi, si apre il complicato capitolo dei risarcimenti. Nel novero, ci sono diverse categorie di lavoratori: forze armate, dipendenti delle ferrovie, muratori, marinai, etc. E, per molte di questi operai, ottenere una giusta compensazione del danno “è un percorso molto difficile”. “In tanti casi è coinvolto anche lo Stato – commenta Bonanni – e da parte dei Ministeri c’è spesso resistenza al risarcimento. Perciò, purtroppo, siamo in piena bagarre processuale”. Alcune sentenze hanno condannato i datori di lavoro, consentendo all’intera categoria di ottenere un indennizzo. Ma “il risarcimento arriva sempre in seguito alla morte della vittima – segnala il presidente dell’Osservatorio – e mai prima, quando ne avrebbe bisogno per pagarsi le cure”. Le chance di sopravvivenza a cinque anni per un malato di mesotelioma, in effetti, sono bassissime e difficilmente gli indennizzi arrivano in tempo. “Per questo, chiediamo al Governo un nuovo intervento – conclude Bonanni – si tratta di un problema da risolvere in modo non demagogico o populista, perché riguarda tutti”.

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Andrea Ceredani