"Separate dal mondo", la vita dietro la grata delle suore di clausura

Abbandonate l’idea di un luogo chiuso, cupo, triste, soffocato da rigide regole. Immaginate, invece, uno spazio aperto alla modernità, che ha fatto dell’ascolto degli altri la sua più importante vocazione. E ciò, nonostante la regola primaria al suo interno sia la clausura. Per arrivare al Monastero delle Carmelitane Scalze, a Crotone, bisogna salire su un piccolo promontorio che costeggia il blu intenso del mar Ionio. Poco distanti da lì i resti straordinari e suggestivi di uno dei siti più importanti della Magna Grecia, Capocolonna: una sola colonna, che resiste ai millenni, di quello che fu il Tempio innalzato alla Dea greca Hera Lacinia. Ma in questa storia i miti e gli dèi non c’entrano. In questa storia, al contrario, si respira vita vera, semplice, concreta, autentica. Dopo una piccola salita, si varca un cancello e si entra nel cortile del Monastero, circondato da un giardino bellissimo. “E’ l’unico spazio della casa – mi dice Suor Costanza accogliendomi – che non curiamo direttamente. A tutto il resto invece pensiamo noi”. Quindici Sorelle, arrivate in questo angolo di Crotone, dalla Calabria, ma anche da Piemonte, Lombardia, Puglia e Sicilia. Insieme rappresentano diverse generazioni: la più giovane ha 36 anni, la più anziana 95. L’età media è di 55 anni. Quasi tutte con un’istruzione in tasca e la serenità in volto di chi ha fatto la scelta giusta, di chi l’ha fortemente voluta. “Il Monastero non è un rifugio. Non si arriva qui perché si fugge da qualcosa, da qualcuno, o perché non si ha niente o nessuno – taglia corto Suor Costanza - Qui dentro senza una forte e profonda consapevolezza della vita monastica, si dura solo tre giorni”. Suor Costanza, Priora del Monastero, sceglie di entrare in convento quando ha quasi 30 anni. Dopo un percorso di vita normale, come tante sue coetanee fatto di impegno per lo studio, l’amore della famiglia, i tanti amici, una laurea, un bel lavoro. “Non era certo una vita casa e Chiesa”, tiene a sottolineare. Poi un giorno – è il 1997 – un’amica la porta con sé a vedere le reliquie di Santa Teresa di Gesù Bambino, fondatrice dell’ordine delle Monache Carmelitane Scalze. Inizia da lì il suo cammino di fede fino alla conversione più intima: entrare in Monastero e abbracciare la vita contemplativa. Ancora oggi, rivelare e comunicare questa decisione alle famiglie è il momento più difficile e delicato. “Intanto perché mentre lo dici alla tua famiglia realizzi che sta veramente accadendo - racconta Suor Costanza. E poi perché in alcuni casi è un vero è proprio trauma, peggio che fare outing e rivelare a mamma e papà la propria omosessualità. Se alcuni genitori, malgrado la sorpresa, accolgono questo percorso come una grazia e come un dono, la maggior parte pensa a tutto questo come a una sventura. Ci sono anche tante esperienze di un rifiuto totale che poi però il Signore mette a posto: davanti, per esempio, a una malattia o a un lutto. Esperienze dolorose che consentono la pacificazione”. Il tempo nel monastero Il tempo all’interno del Monastero è scandito dalla preghiera. La sveglia è alle 5,30, poi alle 6 il canto delle Lodi mattutine, quindi un’ora di preghiera silenziosa tutte insieme, la Santa Messa alle 7,30. Dopo una colazione veloce, inizia la mattina di lavoro. Ogni Sorella, in solitudine, svolge la sua mansione – la cucina, l’accoglienza, il bucato, la pulizia, la cura del giardino. Dopo l’Angelus a mezzogiorno, le monache si ritrovano insieme per il pranzo e subito dopo condividono l’ora di ricreazione: un momento di scambio di allegria, di condivisione di notizie, in cui a volte allestiscono piccole scene teatrali, magari inventando un testo, e che alla sera durante la stessa ora di ricreazione – dopo la cena – a volte utilizzano per guardare tutte insieme un film. Alle 22 nel Monastero si spengono le luci. “Abbiamo una ricca videoteca – ci dice Suor Maria Costanza – con film che ci hanno regalato amici e parenti. Adesso, per esempio, stiamo vedendo Benvenuti al Sud e ci sta divertendo molto”. I CELLULARI IN CONDIVISIONE Il proiettore, il computer, alcuni cellulari in condivisione, la televisione. La comunicazione via mail e per WhatsApp. I tempi del telefono fisso al quale poteva rispondere solo la Priora sono ormai preistoria. All’interno del Monastero, la tecnologia non manca. E pure le opportunità offerte dal digitale “arrivato alla nostra porta all’improvviso, senza bussare”, non sono state respinte. “Rifiutare questi strumenti sarebbe stato controproducente”, dice Suor Maria Costanza. Nostro dovere è saperne fare un uso utile alla vita e un uso intelligente, e questo richiede discernimento. “Noi per esempio siamo informati su tutto – aggiunge – e lo facciamo leggendo due quotidiani – Avvenire e l’Osservatore Romano - ai quali siamo abbonati. Anche se il vero racconto dell’attualità ci arriva dall’interno. Cosa accade in Ciad, in India, in Brasile, in tutte quelle aree devastate da guerre e povertà ce lo raccontano i nostri missionari e questo ci aiuta a saper leggere il presente e il mondo che ci circonda con la testimonianza diretta. In questi giorni, per esempio, qui con noi c’è una Sorella che arriva dal Carmelo Internazionale di Haifa in Israele e ci ha raccontato l’orrore della guerra ma anche della necessità di non avere paura per infondere coraggio e aiutare gli altri. In questo parlatorio abbiamo raccolto l’esperienza diretta di mogli che si sono fatte aiutare per sfuggire alla violenza domestica. Ci sono state donne che, a fatica, si sono esposte trovando il coraggio di raccontarci per la prima volta di essere ripetutamente picchiate e maltrattate da mariti padroni. In passato qui dentro ci sono state conversioni davvero importanti. Chi bussa alla porta del monastero A quel punto negli occhi della Priora si coglie un senso di umana soddisfazione. In 40 anni di esistenza in questo Monastero, mi rivela “è arrivata gente di ogni tipo: i più poveri, disoccupati, professionisti, chi non sta bene in salute, tanta gente ricca che fa beneficenza senza dirlo a nessuno. Uomini e donne che non ti sogneresti di vedere mai dietro a una grata, perché mille anni luce lontane dalla fede. Ma che per diversi motivi vengono a conoscenza di questo luogo e ci chiedono di essere ascoltate per rivelarci le ferite più profonde che si portano nella vita. Questo è un luogo aperto a tutti, ma anche di approdo. Ed è quello che sperimentiamo da anni, ogni giorno. Nella maggior parte dei casi si tratta di rapporti occasionali che poi diventano stabili e forti nel tempo. E oggi posso dire che siamo circondati da un affetto, una stima commovente. Abbiamo tantissimi amici”. La clausura oltre la grata Ed ogni confessione, ogni rivelazione, ogni esperienza è stata raccolta ed ascoltata davanti a una grata. Anche il mio colloquio con Suor Costanza avviene nella stessa saletta utilizzata da tutti, il parlatorio, davanti a una lunga grata, simbolo di una clausura il cui significato sta subendo profonde trasformazioni. A questo punto il tono di Suor Costanza si fa serio, le parole sono pesate, tante le pause. “La clausura - ci dice - non sono le grate. Storicamente ancora esistono, ma sono frutto di una lunga storia. Sono qui, nel parlatorio e in altre due stanze. Nel resto della casa non ci sono. Abbiamo un giardino bellissimo e viviamo come una normale famiglia. Non viviamo di divieti e prescrizioni. E tutto è affidato alla libertà, alla responsabilità e alla custodia della vita contemplativa e fraterna che ha lo scopo di custodire la nostra vocazione. Forse il termine clausura dovrebbe sparire e dovremmo adottare l’espressione ‘separazione dal mondo’ che è più corretta. Dove per mondo non si intende la realtà umana, ma significa non sposare le logiche mondane che possono nuocere alla vita interiore e alla capacità di crescere e vivere in modo sano. La clausura educa quindi lo sguardo, non è uno strumento per difenderci dall’esterno o per limitare le relazioni. E oggi, lentamente, il suo significato più profondo si sta chiarificando anche aiutati dai nuovi e recenti provvedimenti della chiesa. Le dico una cosa – aggiunge Suor Costanza abbozzando un bel sorriso - altro che clausura, questo posto è un porto, sì un porto. Un luogo aperto a tutti. Siamo i custodi dei dolori e delle speranze di tutti. E può scrivere una cosa - mi dice, congedandomi con un grande sorriso -. Scriva che questo è un luogo dell’anima dove, anche, ci divertiamo un mondo”. Proprio loro, queste 15 Sorelle, che il mondo lo guardano da dietro una grata.

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