Passaggio a Trieste: le notti in strada dei richiedenti asilo

Nei giardini di piazza della Libertà, di fronte alla stazione centrale di Trieste, una persona china la testa sotto il getto d’acqua di una fontanella. Si lava in fretta i capelli e li asciuga con la maglietta, come possibile, prima che la bora gli geli la cute. Viene dal Pakistan, ha 21 anni, è in viaggio da due e dorme in strada nella città al confine con la Slovenia da 60 giorni. I primi 20 li ha trascorsi ad attendere la questura per presentare richiesta d’asilo, i secondi 40 sono serviti per aspettare che si liberassero posti letto nei camp, le strutture del Friuli-Venezia Giulia da cui prende avvio il percorso nel sistema d’accoglienza italiano. Lo shampoo, come le coperte per la notte e qualche pasto caldo durante la giornata, glielo hanno fornito volontari e operatori della Rete sociale di Trieste. Come lui, altre migliaia di persone migranti interrompono il loro percorso sulla rotta balcanica in Friuli-Venezia Giulia. Dove l’assenza di strutture a bassa soglia , la saturazione del sistema di prima accoglienza e la chiusura dei bagni della stazione dalle ore 22 obbligano anche i richiedenti asilo, dunque migranti regolari, a dormire e a fare i propri bisogni in strada. In realtà, la maggior parte delle persone che percorrono la rotta balcanica non ha intenzione di fermarsi a Trieste . Transitano per una o due notti al massimo e, poi, proseguono il viaggio verso Germania, Francia o altre regioni d’Italia. Per chi decide di presentare richiesta di protezione internazionale a Trieste, però, la permanenza può variare dai pochi giorni ai mesi, in condizioni spesso precarie. La giornata: il centro diurno Tutto si svolge a pochi passi dalla stazione. In via Udine, a 5 minuti di distanza a piedi, si trova il centro diurno, dove le persone migranti possono scaldarsi, giocare, bere un thè caldo, trovare dei vestiti, fare lezione d’italiano o pregare. Lì, trascorrono la maggior parte della giornata. “Hanno gli stessi bisogni che abbiamo noi – commenta Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di Solidarietà – mangiare, riposare e vivere in socialità. Ma non possono soddisfarli sempre: qua trovano almeno una giacca per scaldarsi e un dottore per curarsi”. Nelle ore che trascorriamo con loro, la coda per chiedere informazioni agli operatori sui documenti da presentare in questura non si esaurisce mai. Così come il rumore della pallina che sbatte tra i calciatori del biliardino. Solo in pausa pranzo le sale del centro si svuotano, cala il silenzio e le persone migranti cercano le mense della Caritas per un pasto. “Molti non ci vanno neppure alle mense, perché sono troppo lontane – ci spiega Giulio Zeriali, operatore della Diaconia Valdese – e si fanno bastare i biscotti o le altre cose che possiamo avere qua al centro diurno”. Al ritorno nel pomeriggio, alcuni hanno bisogno di un ricambio per i vestiti strappati o bagnati. “Scusate se vi mostro la schiena”, premette un ragazzo prima di spogliarsi nella sala principale e indossare una nuova maglietta. Di fronte a lui, ci sono decine di uomini, spesso molto giovani, e una sola donna, madre di due figlie. Attorno alle 19, quando ormai è buio, il centro diurno chiude e le persone migranti sono costrette a uscire. Anche quando spira molto vento o piove. La giornata: dormire a Trieste Alle 19, perciò, si anima piazza della Libertà. I volontari e gli operatori dell’organizzazione di volontariato Linea d’Ombra offrono un pasto caldo a tutte le persone che si impilano in una lunga coda di fronte alla stazione centrale. Si affollano sorrisi e chiacchiere in farsi e pashtu, qualche parola in tedesco e – di tanto in tanto – uno stentato inglese. Dopo quasi due ore tutti hanno mangiato, i volontari ritirano le pentole e piazza della Libertà si svuota. Fino allo scorso 21 giugno, le persone migranti a quest’ora si sarebbero rifugiate nel Silos, un grande magazzino fatiscente di fianco alla stazione, per dormire. Ma il suo sgombero, disposto da una ordinanza del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, ha costretto i transitanti a trovare un’altra soluzione. Perciò, li abbiamo incontrati nella pensilina al Porto Vecchio, dove tende, materassini e coperte sono gettate in terra per trovare un riparo, se non dal vento e dal freddo, almeno dalla pioggia. All’odore di urina si accompagna il tepore del chai, il thè caldo che i volontari di No Name Kitchen assicurano, assieme a qualche biscotto, a tutte le persone che dormono in strada a Trieste durante le ronde notturne. “Sono occasioni fondamentali anche per accertarsi di eventuali emergenze mediche”, ci spiega l’operatrice Maria Pelaia. Il viaggio: "Feriti e senza acqua, bevevamo dalle pozzanghere" Di fronte a un thè caldo, moltissime persone migranti al Porto Vecchio si scaldano e cercano orecchie per raccontare la propria storia. Vengono perlopiù da Pakistan, Bangladesh, Afghanistan e Siria. Hanno viaggiato per anni e attraverso molti Paesi, nelle mani dei trafficanti, prima di raggiungere la Grecia e poi l’Italia tramite i Balcani, percorrendo lunghi tratti a piedi. “Ho avuto problemi religiosi in Nepal – racconta Islam , a Trieste da 45 giorni – e per questo sono fuggito per venire in Italia”. Dopo mesi in Iran e in Turchia, è arrivato in Grecia da cui è cominciato il suo viaggio verso l’Italia. Tappe obbligate sono Croazia e Bosnia, dove molti denunciano violenze da parte della polizia: “Rompono i cellulari a tutti quelli che arrivano – spiega Tarikul, 24 anni – per questo non ho immagini del mio viaggio”. Per altri, come il ventenne Amir, le conseguenze sono persino peggiori: “La polizia in Bosnia ha tentato di prendermi per deportarmi in Turchia e, scappando, mi sono ferito a un piede – ci racconta mentre mostra la foto delle escoriazioni – Adesso ho ancora bisogno di assistenza”. Il viaggio è duro per tutti. “Ci sono moltissimi problemi sulla rotta balcanica – spiega Muhammad, al suo quindicesimo giorno di pernottamento al Porto Vecchio – ci mancava cibo e bevevamo acqua dalle pozzanghere”. Per molti, però, dormire a Trieste non è un sollievo: “Non vorremmo, ma senza bagni e al freddo – continua Islam – spesso siamo costretti a fare i bisogni qua, dove dormiamo”. Le cause: pochi posti letto e nessuna struttura a bassa soglia Da un lato, dunque, ci sono i transitanti. Per loro, persone che migrano irregolarmente, l’amministrazione locale e regionale assicura di non avere fondi da investire. Dall’altro, chi richiede protezione internazionale e vive per mesi in strada prima di trovare posto nei centri triestini di Campo Sacro e Casa Malala e avviare il percorso nel sistema d’accoglienza. In media, secondo i monitoraggi della Rete sociale di Trieste, sono cento le persone richiedenti asilo che ogni giorno si trovano in attesa di un posto letto, con picchi che superano le 150. “Arrivano a piccoli gruppi, non sono moltissimi – commenta Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di Solidarietà – Non è credibile che lo Stato italiano non abbia gli strumenti per affrontare le esigenze di un gruppetto, che diventa folto perché si accumulano gli arrivi: si tratta di una emergenza artificialmente creata”. Nei fatti, l’attesa per l’accesso alla procedura d’asilo negli uffici competenti varia dai 7 ai 30 giorni e circa altrettanti servono per entrare nei camp. “Nessuno può essere attrezzato per dare accoglienza h24 a gruppi che arrivano a ogni ora del giorno, anche alle 4 di notte”, risponde l’assessore all’Immigrazione del Friuli-Venezia Giulia, Pierpaolo Roberti. Che, riguardo alla saturazione dei centri di prima accoglienza assicura: “In pochi mesi avranno a disposizione posti letto sufficienti per chi fa richiesta di protezione internazionale. Nel frattempo, però, il Ministero sta spostando due volte alla settimana gruppetti di persone da Trieste a fuori regione”. Per far fronte alla carenza di spazio nelle strutture, anche Unhcr ha tentato un aiuto nei mesi scorsi inviando all’amministrazione alcuni moduli abitativi, che presto si sarebbero rivelati inutilizzabili, perché non in grado di resistere alla bora triestina. Perciò, al momento, per chi ancora non è entrato nei camp non esistono dormitori: “Ci sono posti sufficienti per donne sole con figli e famiglie, che hanno priorità – conferma Schiavone – ma molti uomini non hanno ancora soluzioni per evitare la strada”. Scontro sui numeri: quante persone migrano sulla rotta balcanica? L’agenzia europea Frontex indica una riduzione del 77% degli arrivi dalla rotta balcanica nei primi otto mesi del 2024 rispetto al 2023. Secondo la regione Friuli-Venezia Giulia, il merito sarebbe da attribuire alla sospensione di Schengen e ad altre politiche di contrasto all’immigrazione irregolare. Ma, secondo i monitoraggi dell’organizzazione di volontariato International Rescuee Committee, realizzata tramite il conteggio diretto degli operatori sul campo, la riduzione sarebbe molto più contenuta. “Noi abbiamo rilevato un 13% in meno rispetto al 2023 – spiega Alessandro Papes, coordinatore di International Rescue Committee – Da gennaio a ottobre abbiamo incontrato quasi 12mila persone nuove, contro le 13.500 dello scorso anno, e le abbiamo intervistate tutte con operatori madrelingua. I bisogni umanitari restano gli stessi”. Bisogni che sono mitigati forse soltanto dalla chiusura del Silos, dopo la quale il numero di visite all’ambulatorio del centro diurno si è ridotto. “Gli accessi sono inferiori, ma non abbastanza da ridurre il numero di dottori a disposizione”, spiega la Rete sociale. Lo sgombero e il futuro delle persone migranti a Trieste Oggi, la pensilina del Porto Vecchio a Trieste non è più affollata. Le persone che dormivano sono state tutte sgomberate a sorpresa dall’amministrazione locale e, poiché richiedenti asilo, trasferite nell’hub di Bresso a Milano per entrare nel sistema d’accoglienza italiano. A differenza del Silos, però, la pensilina non può essere interdetta e nuove persone, specialmente con la buona stagione primaverile, rischiano di essere nuovamente costrette a dormire sotto la sua tettoia. O, peggio, in strada di fronte alla stazione. Di questo, almeno, è certo Gianfranco Schiavone: “Nessuna nuova soluzione è stata individuata – ci spiega - Le persone in transito rimangono in strada e i richiedenti asilo in breve tempo torneranno a non avere una prima accoglienza, per una nuova saturazione delle strutture”. Dall’amministrazione, invece, la promessa resta la stessa: “In pochi mesi arriveranno abbastanza posti letto”. Nessuna svolta, invece, per i dormitori a bassa soglia per i transitanti: “Non sosterremo finanziariamente i progetti del terzo settore su questo fronte”.

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Andrea Ceredani