Caporalato, nulla è cambiato dalla morte di Satnam Singh

Gli occupati in agricoltura in Italia sono 872.100 e circa 200mila sono i lavoratori irregolari. Il rapporto è di 1 a 4. Si tratta, perlopiù, di lavoro “grigio” con contratti che non rispecchiano la reale quantità di ore lavorate: il tasso medio di irregolarità per gli indipendenti si attesta al 30%. E le vittime sono più donne e persone straniere. Le prime sono maggiormente esposte allo sfruttamento: circa 55mila sono le lavoratrici a rischio ogni anno di abusi nel settore. Le seconde rappresentano il 17,7% degli impiegati in agricoltura ma lavorano per il 34,2% delle giornate totali di occupazione agricola. La manodopera delle persone migranti, invece, è spesso sfruttata approfittando del loro precario status giuridico. A offrirla alle aziende sono i caporali: 2.123 i casi accertati nel 2023. Che hanno, sì, coinvolto persone prive di permesso di soggiorno ma anche persone in condizioni teoricamente tutelanti . E, intensificando i controlli , il fenomeno assume contorni sempre più preoccupanti. Gli ecocrimini sono tutti in aumento: +9,1% di reati e illeciti amministrativi sul 2022, +27,1% di sanzioni penali e amministrative, +45,7% di denunce, + 3,9% di arresti e soprattutto +220,9% di sequestri. I dati sin qui riportati sono stati tutti raccolti da Istat, Ispettorato nazionale del Lavoro e Questure. Ma rischiano di essere sottostimati. Il rapporto Agromafie e caporalato A denunciarlo, è il VII Rapporto agromafie e caporalato di Flai-Cgil, giunto al termine di un anno segnato dalla morte di Satnam Singh, il bracciante di origine indiana che ha perso la vita lo scorso 19 giugno, abbandonato all’agonia in strada per due giorni dal proprio datore di lavoro a Latina, dopo che un macchinario gli aveva tranciato un braccio e rotto le gambe. Il caso ha indotto le forze dell’ordine a compiere tre controlli straordinari, i cui risultati sono ora raccolti nel report del sindacato e confrontati con i dati ufficiali dei ministeri. Nelle ispezioni eccezionali di luglio e agosto, è emersa rispettivamente una irregolarità del 66%, del 57% e del 53%. Secondo dli ultimi dati disponibili del ministero dell’Economia, invece, risalenti al 2020, il lavoro nero in agricoltura si fermerebbe al 10% e il grigio al 30%. Numeri che divergono anche da quelli raccolti dal dicastero del Lavoro, che nel 2023 ha riscontrato irregolarità in 2090 ispezioni su 3529. Vale a dire quasi nel 70% dei casi. Per fare ordine tra i numeri, forse, servirebbero nuovi controlli: “Peccato però – commentano dalla Cgil – non si sia dato seguito e si sia ritornati nell’ordinarietà”. Numeri sottostimati Gli studi empirici di Cgil non hanno valore ufficiale né sono sempre condotti con criteri statisticamente rilevanti. Ma ascoltano direttamente le testimonianze delle persone impiegate nei campi, raccogliendo numeri spesso superiori a quelli presentati da Istat. Alcuni esempi. In Basilicata, dove le stime ufficiali del 2023 parlano di 5mila lavoratori irregolari nel primario, Cgil aggiunge dai 5000 ai 7000 avventizi e pendolari sfruttati, non registrati da Istat, che affollerebbero le campagne lucane nei periodi di maggior bisogno. Nelle province di Trento e Bolzano si stimano più di 6000 lavoratori “non standard” solo nella lavorazione macellazione delle carni. Nel Crotonese sarebbero 11/12mila le persone impiegate con lavoro nero o grigio in agricoltura. E ancora: in Piemonte quasi 10.000 i lavoratori sfruttati, di cui 2.000 solo ad Asti. Le cose peggiorano quando il lavoro si fa povero. “Redditi clamorosamente insufficienti e condizioni di lavoro insostenibili sono radicati ben più di quanto dicono i numeri ufficiali – spiega il segretario generale Flai Giovanni Mininni – E in un quadro del genere si infiltra troppo facilmente la criminalità”. A fronte di un margine economico generato dal settore di circa 73,5 miliardi di euro le retribuzioni medie annuali si fermano a 6mila euro. “Si tratta di un sistema losco e poco visibile sul quale dobbiamo mantenere alta l’attenzione per il contrasto”, commenta Jean René Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto che ha redatto con Cgil il rapporto. Che ha ricevuto anche le lodi del Governo: “Abbiamo posizioni diverse ma lo stesso obiettivo – ha risposto al sindacato il sottosegretario all’Agricoltura Patrizio La Pietra – Grazie per il lavoro che state facendo”. Senza contratto e senza permesso di soggiorno Sfruttamento e lavoro povero, però, trovano terreno fertile nella migrazione. Generando, per chi è appena arrivato in Italia, status giuridici ancor più precari. Il corto circuito si innesca quando l’iter previsto dal decreto flussi non ha lieto fine. In teoria, è durante i cosiddetti “click day” che chi desidera lavorare in Italia può inviare ufficialmente la domanda per l’ingresso fino all’esaurimento dei posti. Cui segue il rilascio del nulla osta, l’entrata nel Paese, la sottoscrizione del contratto e – da ultimo – il rilascio del permesso di soggiorno. “Spesso accade che alle persone migranti, una volta arrivate in Italia, per vari motivi le aziende, le stesse che le hanno chiamate, non formalizzino il rapporto di lavoro – spiega Camilla Siliotti, esperta di diritti delle persone migranti per la campagna Ero Straniero – A quel punto, lavoratori che erano entrati regolarmente si trovano d’un tratto a soggiornare irregolarmente in Italia. Anche questo è il costo del lavoro nero”. Di fatto, l’assenza del contratto nega sia la tutela dei diritti del lavoratore sia la sua possibilità di soggiornare legalmente in Italia. “Secondo i numeri di Ero Straniero, solo il 23% di chi è entrato in Italia regolarmente nel 2023 attraverso i flussi ha ottenuto poi un contratto di lavoro”. Per gli altri, non è assicurato un futuro regolare né in agricoltura né in Italia: “L’ultimo decreto flussi – continua Siliotti – non ha ancora previsto la possibilità di assumere persone già presenti sul territorio ma rimaste senza documenti”.

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