Francesca Ghio racconta la violenza subita: "Lo devo a mia figlia"

Quando le parole fanno rumore e irrompono nell’aula di un consiglio comunale spezzando il silenzio, costringono l’opinione pubblica a guardare negli occhi una giovane donna che racconta il suo dramma e il dolore più grande: l’infanzia rubata dalla violenza, fisica e psicologica. Una donna che ha trovato il coraggio di raccontare gli abusi subiti a 12 anni, ripetutamente, per mesi “da un uomo di cui mi fidavo, da un uomo che nessuno avrebbe pensato potesse essere un mostro. Un dirigente genovese, il vostro bravo ragazzo, l’emblema del patriarcato. Lui mi diceva di stare zitta e che doveva essere il nostro segreto, dovevo giurargli di non raccontare niente a nessuno, mentre sottostavo alle sue torture. La mia mente e il mio corpo sotto la sua autorità”. Questa la testimonianza choc di Francesca Ghio, consigliera comunale genovese che martedì pomeriggio 26 novembre, ha preso la parola nella Sala Rossa di Palazzo Tursi, durante il dibattito su un ordine del giorno relativo a iniziative per contrastare la violenza contro le donne. Il coraggio di raccontare quello che non era riuscita a dire nemmeno a sua madre, lo trova oggi che è mamma di una bimba di 11 mesi “perché glielo devo” dice. “Più che un atto di coraggio il mio è un atto di amore per questa società – racconta - La mia voce è un megafono. Il mio messaggio è: non staremo più zitte. Vogliamo cambiare questo sistema. Non un giorno in più, non una Giulia in più, non una Francesca in più. Ora in quell’aula c’è il mio dolore, è tempo di provare a costruire una comunità che abbia cura degli altri”. Parla risoluta Francesca, gli occhi grandi di ha visto in faccia “il mostro”, seduta sulla panchina di un giardinetto, mentre legge i messaggi di solidarietà sul telefono. C’è chi affida l’emozione alle parole della canzone di De André, Smisurata preghiera, “per consegnare una goccia di splendore di umanità, di verità” e chi manda semplicemente un abbraccio. I pm genovesi aprono un’indagine Negli stessi minuti in cui Francesca Ghio concede l’intervista a Sky Tg24 arriva la notizia che la Procura di Genova ha aperto un fascicolo per violenza sessuale aggravata su minorenne, al momento a carico di ignoti. I magistrati potrebbero ascoltare l’esponente Rossoverde, anche per identificare l’autore delle violenze. Il rischio è che le indagini possano essere archiviate per sopraggiunta prescrizione. Di lui si sa soltanto che è il manager di una piccola azienda e aveva accesso alla casa della vittima. E che solo adesso, a distanza di vent’anni, proverà vergogna. L’indagine in questi casi viene aperta senza querela della parte offesa. Sarà necessario accertare le tempistiche. "Non staremo più zitte" “Non ho mai denunciato quell’uomo perché non avevo risorse per farlo. Non sapevo neppure cosa fosse una denuncia, non sapevo con chi parlarne. E per un pezzo della mia vita mi sono rassegnata, fino a credere di essermelo meritata, di essermela cercata. Sono arrivata a colpevolizzarmi al punto da ferirmi fisicamente. Ma non staremo più zitte, mi auguro che il gesto fatto in aula abbia tolto quel velo di ipocrisia e abbia fatto capire che era il momento di impegnarsi davvero”, racconta Francesca che oggi ha 31 anni, è una donna forte, una laurea in Scienze Gastronomiche dopo aver studiato Scienze delle Comunicazione. Poi è arrivato l’impegno politico, prima come arrivista dei Fridays For Future, poi come consigliera comunale nella sua città, Genova, dopo aver girato il Sud America, zaino in spalla per sei mesi e l’attuale lavoro di organizzatrice di tour culturali-gastronomici. La consigliera comunale, tra le più combattive esponenti della minoranza in consiglio a Genova, da neomamma era riuscita a far approvare un regolamento che consente ai neogenitori di partecipare alle sedute di consiglio da remoto. La sua testimonianza si è conclusa citando la canzone Bandiera di Giulia Mei. Il coraggio di raccontare la sua storia lo ha trovato per fare del proprio corpo uno strumento di lotta collettiva, un messaggio per far sentire meno sole le donne che non hanno il privilegio di poter essere una bandiera, megafono di chi non ha voce. “Deve essere lo Stato a livello strutturale farsi carico delle bambine e dei bambini del futuro e fa sì che si riconosca la violenza, si capisca come non esercitarla e come non subirla – dice – Il coraggio di raccontare la mia ferita l’ho trovato nella voglia di usare quel microfono che avevo davanti, riconoscendo il privilegio della posizione in cui mi trovo dentro un’aula istituzionale per diventare la voce di tutte quelle persone che voce non hanno e per usare il mio corpo in modo politico. Troppo spesso ci troviamo nelle aule decisionali del potere ad affrontare discussioni con un’enorme apatia e distacco dalla realtà. Guardare negli occhi e far sì che guardassero negli occhi la violenza per me ha rappresentato il mio modo di fare politica al meglio delle mie capacità anche se vuol dire mettere in gioco la mia fragilità e il mio dolore - racconta - In aula ho letto una storia, un copione che nel momento in cui lo stavo leggendo non era la mia storia ma è la storia di molte di noi e anche di quella bambina di 12 anni. Non ho rivisto il testo, l’ho scritto di getto, ma sono parole che dentro di me risuonano da tanti anni. Voglio che non ci fosse un altro 25 novembre con le manifestazioni da una parte e dall’altra con un lavaggio delle responsabilità. Portare la violenza dentro quell’aula significa chiedere delle risposte che devono arrivare dalle istituzioni, nella speranza che aumentino le donne con il coraggio di raccontare, perché le storie di violenza sulle donne e i femminicidi non smetteranno di aumentare finché le istituzioni non smetteranno di nascondere un sistema patriarcale per cui questi mostri non sono mostri ma i figli di questo sistema. Stiamo sentendo una politica che non è in grado di guardare in faccia il problema: vorrei invece rappresentare chi chiede supporto con centri antiviolenza e centri di ascolto per l’accompagnamento verso la denuncia ma, cosa più importante, introducendo l’educazione affettiva nelle scuole. Un’educazione che permetta di fornire degli strumenti per reagire. Strumenti che io non ho avuto quando avevo 12 anni ma che oggi vorrei costruire”. "La politica è in ritardo” “Il mio non è mai stato silenzio ma nessuno ha saputo ascoltare. Il dolore ha ucciso una parte di me ma ho trovato la forza di reagire. Non tutte le persone possono avere questa forza, per questo dobbiamo impegnarci a fornire gli strumenti utili. Quante donne oggi denunciano e si sentono chiedere se sono sicure di volere denunciare, quante voci sono messe in discussione? Dalle Fondazioni, che colmano un vuoto istituzionale dovremmo imparare: la politica è in ritardo ma ci sono le risposte si tratta di volerle ascoltare e applicare”. “Non ho intenzione di parlare nei dettagli della mia storia perché penso non sia utile a nessuno la pornografia del dolore. Penso sia importante sapere che molte persone si sono identificate nella mia storia: non è importante il dettaglio ma la voce che irrompe e spacca un silenzio. Rappresento tante storie come la mia. Tengo per mano altre persone con la mia voce, questo era l’obiettivo ed è quello che in queste ore mi sta arrivando e mi conforta. All’inizio in quell’aula non tutti hanno collegato che stessi raccontando la mia storia, per cui c’è stato silenzio all’inizio, quando poi l’aula ha realizzato che quel dolore non era lontano ma lì davanti allora ho visto occhi commossi e la voglia di abbracciarmi e di abbracciare quel dolore che è nella nostra società non solo in me” "Ho fatto pace con il dolore, sono una voce, sono una bandiera, rappresento altre donne” “Oggi vivo la vita – racconta . sono una mamma, la mia bambina è una meraviglia, è arrivata dirompente, mi sta insegnando molto, e spero di poterle raccontare un mondo migliore di quello che ho vissuto io. Sono passata attraverso la morte ma ho accettato e oggi sono la donna che vedete, e adesso che questo pezzo di me è diventato un pezzo che ho condiviso ognuno può scegliere cosa farne. Sono immune e pronta a mettermi in discussione per tutti e per tutte. Ho fatto pace con il dolore”.