Crisi India-Pakistan, i motivi e le origini di un conflitto mai chiuso

Confine India Pakistan, valico di Wagah. Pare che la cerimonia si svolga anche adesso, in questi giorni di tensione, e per chi si trovasse a passare da quelle parti , vale la pena spenderci qualche ora. Perché quella che svolge lungo la frontiera è una cerimonia tra le più suggestive cui si possa assistere: un’attrazione che richiama migliaia di turisti da entrambi i lati del confine per vedere le complicatissime procedure che terminano con l’ammainabandiera simultaneo. Una sorta di liturgia che col passare del tempo si è prolungata fino a raggiungere i 40 minuti, in un climax irresistibile e delirante di canti, balletti, slogan nazionalistici e coreografie militari sempre più complesse, in una manifestazione di forza che assume toni parossistici. Una questione antica La si può collocare tra le stravaganze, e certamente lo è, ma quei complessi balletti non sono una banale manifestazione di forza e immaginazione, bensì la ritualizzazione di un conflitto che, invece, non ha nulla di ridicolo. Perché è uno dei più feroci e antichi dell’era contemporanea, e si gioca tra due potenze nucleari ed economiche che hanno un peso determinante non solo nell’area, ma in tutto il mondo. E se proprio si deve cercare un inizio, ecco che si deve andare fino al 1947, quando Mohandas Karamchand Gandhi, il Mahatma, il fondatore dell’India moderna e l’inventore della non violenza, accese la miccia. Naturalmente non era sua intenzione, e fece di tutto per impedire che ciò avvenisse, anche suggerendo soluzione estreme, come proporre ministri musulmani nei ruoli chiave nella nuova Repubblica Indiana, ma fallì. La questione religiosa La frattura insanabile tra India e Pakistan affonda a quando, appunto, grazie alla lotta non violenta di Gandhi, l’India si emancipò dall’Impero britannico e si spaccò immediatamente in due tronconi. L’India e il Pakistan, quest’ultimo diviso a sua volta in due parti: quello occidentale, che corrisponde all’attuale, e l’orientale, che si sarebbe a sua volta separato creando l’odierno Bangladesh. La ragione della separazione di popolazioni che avevano vissuto per secoli fianco a fianco fu – come sempre, verrebbe da dire - la religione: gli indiani sono a maggioranza indù – mentre i pakistani, e i bengalesi, sono quasi esclusivamente musulmani. C’è chi insinua che lo “zampino” britannico abbia spinto ai moti del ’47, che portarono alla separazione dal Pakistan, mentre l’India sostenne il movimento indipendentista che avrebbe poi portato – nel ’71 – alla nascita del Bangladesh. Ma tant’è. Il “Paese dei Puri” In tutto questo non si può ignorare la “questione Pakistan”. Nato sull’onda della radice islamica, foraggiato dall’ex Impero Britannico nella sua lotta di indipendenza contro l’India, ha assunto, fin dalla sua nascita, una connotazione fortemente identitaria, tanto che il suo nome ha un duplice significato. Il primo, Pak – Stan, senza “i”, come spesso viene pronunciato, significa “Paese dei Puri”, con tutto quel che ne consegue a livello ideologico. L’altro, invece, è la sigla composta dalle etnie che compongono il complesso mosaico del Paese: Punjab, Afghan, Kashmir, Sindh e Baluchistan, un mix che è alla base delle rivendicazioni territoriali. Il problema del Kashmir Islamabad rivendica, infatti, la sovranità della regione del Kashmir in quanto a maggioranza musulmana. L’India ribatte che la regione era un principato indipendente governato da un Maharaja indù, che lo cedette a Delhi. Il motivo, peraltro, sarebbe stato l’aiuto indiano fornito al Maharaja – che non aveva scelto nessuno dei due Paesi confinanti – per contrastare l’invasione di tribù Pashtun sostenute da Islamabad. Insomma, un pasticcio. D’altronde, obiettano gli indiani, se il Pakistan ha nell’islam la sua identità, l’India l’ha invece nella sua laicità. Il che forse non è del tutto vero con il governo di Narendra Modi, fortemente identitario per gli indù, ma resta pur sempre un pilastro della Repubblica fondata da Gandhi. A complicare – se possibile – ancora di più il quadro, alcune fazioni di Kashmiri rivendicano la propria autonomia e chiedono l’indipendenza da entrambi i Paesi. Il nuovo “Grande Gioco” Se quindi è vero che alla base delle tensioni tra i due Paesi ci sono ruggini mai appianate, questioni etnico – identitarie secolari, c’è anche da dire che nello scacchiere internazionale India e Pakistan hanno – come era prevedibile – optato per schieramenti diversi. Islamabad, seppure con molte contraddizioni, ha scelto l’Occidente, sostenendo per esempio gli Usa nella lotta al terrorismo Islamico. L’India, invece, è storicamente un Paese non allineato. Anzi, negli anni ’70, pendeva verso l’Unione Sovietica. Poi il mondo è cambiato, certo, e l’India si è adeguata, ma insomma. Il feeling è sempre stato verso Oriente, così che alla fine New Delhi è stata tra i fondatori dei BRICS, lo schieramento alternativo all’Occidente. In tutto questo il Kashmir, oltre a essere un’area bellissima dal punto paesaggistico, un tempo una rinomata meta turistica, ha anche accesso a infinite risorse idriche che fanno gola a tutti. Poi, ci sono i confini. Basta guardare la carta geografica per avere una risposta sulla sua importanza strategica: India, Pakistan, Afghanistan e Cina. Che altro?

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