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Casalesi, così un gruppo voleva ricostruire il clan

Cronaca

Gaia Bozza

Avrebbero commesso estorsioni, minacce, l'incendio dell'auto di una coppia con un neonato, ricettazione: un blitz dei Carabinieri porta all'arresto 14 persone. L'accusa è quella di aver provato a ricostituire una frangia del clan dei Casalesi. Indagato (ma non arrestato) Carmine Zagaria, fratello del boss

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Antonio Mezzero, 62 anni, era storicamente ritenuto vicino al clan dei Casalesi. In base alle fonti giudiziarie era, in particolare, nelle grazie di Michele Zagaria, “Capastorta”, boss del temibile clan e superlatitante per sedici anni fino alla sua cattura, avvenuta nel 2011, nel bunker di Casapesenna, a poche centinaia di metri da Casal di Principe. Mezzero era però ritenuto uno dei capizona a Grazzanise e dintorni, nel casertano. E aveva lasciato il carcere dopo 24 anni ininterrotti di detenzione: dal 1999 al 2022, durante i quali era stato anche al 41bis.

I Carabinieri di Caserta lo hanno arrestato durante un blitz, insieme ad altre 13 persone, nell’ambito dell’inchiesta della DDA di Napoli. Secondo gli inquirenti stava cercando di ricostituire un gruppo camorristico sulle ceneri dei Casalesi, fazione Schiavone-Zagaria. Avrebbe riunito un gruppo di affiliati storici e giovani criminali, tra i quali anche parenti, che, in base alle carte dell’inchiesta, procedevano a colpi di estorsioni e minacce. I fatti riguardano un periodo relativamente recente, tra il 2022 e il 2023: nonostante fosse sottoposto alla libertà vigilata, Mezzero avrebbe ricominciato con attività illecite proprio per ricostituire una frangia del clan in alcune zone intorno al Comune di Grazzanise.

Estorsioni e minacce

Uno degli esempi della violenza con la quale avrebbe agito il gruppo è la tentata estorsione ai danni di una coppia con un figlio neonato, alla quale fu incendiata l’auto perché non volevano liberare un appartamento preso in affitto. Il proprietario sosteneva che gli inquilini fossero morosi, ma anziché rivolgersi a un avvocato, aveva chiesto a Mezzero e i suoi di costringerli a liberare l’appartamento. Dalle indagini è emerso anche il presunto tentativo di accaparrarsi la gestione di attività commerciali, come pressioni e  minacce che sarebbero state fatte arrivare da una persona a loro vicina al proprietario di un autolavaggio, per indurlo a cedere l’attività. Oppure, ancora, la percentuale che il gestore di una bisca clandestina doveva versare loro ogni mese.  Viene contestata persino una tentata estorsione a un imprenditore edile, amico della famiglia Mezzero. E poi, ricettazione di macchinari agricoli e materiali provenienti dai cantieri, ma anche possesso di armi. Ampio spazio è dedicato alla tangente sulla compravendita di un capannone commerciale di oltre un milione di euro, sul quale i vari elementi del gruppo si scontrano in merito alla spartizione e su chi dovesse pagare l’estorsione, se solo il compratore o anche il venditore. Ed è qui che compare il nome di Carmine Zagaria, fratello di “Capastorta”, accusato di essere il mandante di quella estorsione.

Tra gli indagati il fratello del boss Michele Zagaria

Zagaria è tra i 24 indagati ma non tra i 14 arrestati: il giudice per le indagini preliminari ritiene che manchino i gravi indizi di colpevolezza. Il cognome, associato a quella che fu la forza del clan, emerge più di una volta nelle intercettazioni. Ma il nome “Carmine” appare in una sola occasione, citato da uno degli arrestati proprio in merito a una possibile spartizione: “Se Carmine (Carmine Zagaria secondo gli inquirenti) decide che riusciamo a fare una cosa ed esce tutto 40, allora dividiamoli”. Ma non ci sono altri riscontri investigativi tali da portare all’arresto, secondo il giudice.