Il cappellano del Beccaria: ragazzi soli e senza un'idea di futuro

Cronaca

Le proteste scoppiate in questi mesi sono la spia di un profondo malessere dei ragazzi dell'Istituto penale minorile Beccaria. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di giovani senza famiglia, alle prese con tossicodipendenze, incapaci di vedere un futuro davanti a sé. Ne abbiamo parlato con Don Claudio Burgio, cappellano del carcere, che li segue da vicino nel loro quotidiano

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Il carcere minorile Beccaria di Milano è stato a più riprese al centro delle cronache per le numerose proteste scoppiate quest'estate. Materassi dati alle fiamme, tentativi di fuga, scontri con gli agenti. Tali episodi sono in parte l’espressione di un malessere diffuso, più in generale, nelle carceri italiane, ma c’è qualcosa di più: dietro a queste proteste c’è il profondo senso di vuoto che accompagna i ragazzi che vivono all’interno delle mura del Beccaria.

 

Giovani senza famiglia

“In questo momento il Beccaria è popolato quasi totalmente da minori stranieri non accompagnati”, ci racconta Don Claudio Burgio, cappellano dell’istituto. “Sono ragazzi che purtroppo vivono una sofferenza profonda, legata a un progetto migratorio fallimentare. Sono partiti dall'Egitto, dalla Tunisia, dal Marocco, per cercare un futuro. E una volta arrivati qua si sono persi nell'idea che potessero realizzare tutto subito. Parliamo per lo più di ragazzi reclusi per reati contro il patrimonio, o a volte anche per reati di sopravvivenza: all’improvviso e senza rendersene conto si ritrovano chiusi in una cella. E lì arriva lo sconforto: si sentono di aver fallito, di non essere riusciti ad aiutare le loro famiglie rimaste nei paesi d'origine. Questo a lungo andare scatena un profondo malessere, anche psichico”.

 

Il contributo degli Imam

I sindacati di Polizia Penitenziaria denunciano da tempo la carenza di organico. Un problema che, sommato al sovraffollamento, porta inevitabilmente alla difficoltà nel fronteggiare criticità che si creano tra le mura di un carcere. Il tema però è più ampio, evidenzia Don Burgio: “Penso che non si possano spiegare questi fenomeni attraverso una narrazione unica. Il Beccaria, così come tutte le carceri minorili in Italia, sta vivendo un momento di particolare sofferenza. Quello che è certo è che serve uno sforzo comune di tutte le parti per cercare di fronteggiare la situazione”.

Da dove partire? “Dobbiamo trovare un punto di incontro con i ragazzi attraverso il dialogo. La violenza, come sempre, esplode lì dove manca la parola. E la parola, per questi giovani che neanche parlano italiano, spesso è assente. Abbiamo dei mediatori culturali che offrono senz’altro un contributo prezioso, ma credo che sarebbe importante poter avere a disposizione anche qualche Imam, qualche persona che viva la loro stessa cultura. Credo che il contributo da parte di esponenti dell’Islam potrebbe aiutarci molto in questo momento.

 

Astinenza e psicofarmaci

Che cosa scatta nel momento che precede le proteste? Qual è la scintilla che porta questi giovani a provocare i disordini? “Se ci fate caso queste proteste”, spiega Don Claudio Burgio, “avvengono sempre di sera. Non è una coincidenza. La sera in carcere vuol dire soprattutto due cose: pensieri pesanti e astinenza. Questi ragazzi sono abituati a comprimere le loro sofferenze psichiche attraverso il consumo di sostanze stupefacenti. La sera l’astinenza si fa sentire più acuta e così la richiesta di psicofarmaci, di sostanze che possano attutire questa fatica, diventa spesso causa scatenante delle proteste di questi giovani”. Giovani imprigionati nel proprio presente, incapaci di vedere un futuro davanti a loro. “Quello che dobbiamo dare loro è l’idea di una prospettiva, qualcosa a cui puntare”, conclude Don Burgio. "Il tema è estremamente ampio, si deve lavorare su più fronti: dall’inserimento sociale alle opportunità lavorative, dall’istruzione al lavoro. E per fare tutto questo serve il dialogo e il confronto. È necessario lo sforzo congiunto di tutti”. 

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