Francesco Cicconetti, alias Mehths: "Le parole corrette contro la transfobia" VIDEO VOICE

Cronaca
Giulia Mengolini

Giulia Mengolini

Deadname, identità di genere, orientamento sessuale... Come si parla - nel modo corretto - del mondo trans? Nella Giornata mondiale contro l'omofobia e la transfobia ce lo spiega Mehths, divulgatore che ha raccontato sui social il suo percorso di affermazione di genere

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Quella del 17 maggio è una data storica per la comunica LGBTQIA+. Quel giorno, nel 1990, l'Organizzazione Mondiale della Sanità rimuoveva finalmente l'omosessualità dalla lista delle malattie mentali dalla classificazione internazionale delle malattie. Quella data è diventata così un simbolo di lotta alle discriminazioni che si celebra dal 2004 ogni anno come Giornata internazionale contro l'omofobia, la transfobia e la bifobia.
"La transfobia non è solo linguaggio d’odio o solo violenza fisica: è composta anche da tante altre piccole cose che portano alla violenza. Come le risate, le prese in giro, le battute, l’esclusione sul luogo di lavoro o dai gruppi sociali, la difficoltà nel trovare una casa, nell’accedere al mondo del lavoro, la difficoltà che incontrano molte persone trans nell’avere una relazione romantica stabile", spiega a Sky TG24 Francesco Cicconetti, conosciuto sui social come Mehths, divulgatore per la comunità transgender, è autore del romanzo "Scheletro Femmina", dove ha raccontato il suo percorso di affermazione di genere. 
“Ho una rete familiare e amicale molto forte, e da questo punto di vista sono privilegiato perché sono sempre stato sostenuto e amato, anche se non sempre capito. Nonostante questo ho comunque subito episodi di transfobia", spiega Cicconetti. "In particolare la volta che un’azienda si è rifiutata di assumermi nonostante avessi superato tutte le fasi dei vari colloqui, dopo aver scoperto che sono un ragazzo trans”.

La persona (trans) al centro

La transfobia non passa solo dalle azioni: spesso si manifesta infatti anche attraverso il linguaggio, con parole scorrette, o peggio ancora offensive. Per esempio, spiega Francesco, "il trans/la trans, come vediamo spesso scritto sui giornali o sentiamo nei telegiornali non sono termini giusti. Preferiamo un linguaggio che metta la persona al primo posto". Quindi è meglio parlare di "persona trans/persona transgender" perché "oltre a essere deumanizzante, riduce la persona alla propria identità di genere. E noi non siamo solo persone trans, siamo anche tante altre cose", ricorda.

Identità di genere e orientamento sessuale

Un altro punto da chiarire è la ifferenza tra orientamento sessuale e identità di genere: "L'orientamento sessuale è il genere verso cui proviamo attrazione sessuale o romantica, risponde alla domanda: da chi sono attratto/da chi sono attratta?", mentre l’identità di genere "è chi siamo, risponde alla domanda: chi sono? Ognuno di noi ha un'identità di genere e un orientamento sessuale". Le persone trans ne parlano di più perché a un certo punto hanno dovuto mettere in discussione questa identità e cominciare un percorso di affermazione di genere, spiega Francesco. "Mentre le persone cisgender di solito pensano di non avere una identità di genere solo perché non ci hanno mai ragionato, o meglio: non hanno mai avuto bisogno di  ragionarci". Come succede con la carta di identità, che per le persone cisgender è spesso qualcosa che viene dato per scontato. "Mentre per me la carta di identità è stata prima un ostacolo – quando ancora c’era scritto Francesca – e poi un enorme obiettivo raggiunto quando ho potuto rettificare i documenti e ho visto il mio nome su un documento ufficiale. In quel modo mi sono sentito esistere per la prima volta agli occhi dello Stato".

Il "deadname"

Un'altra parola in cui è facile incappare quando si parla di persone trans è il deadname. Il deadname, letteralmente “nome morto” è il nome che era stato assegnato alla nascita alla persona trans nel quale questa persona non si riconosce, spiega ancor Francesco: "Si definisce perciò nome morto perché la persona trans non lo utilizza più ed è stato sostituito dal nome d’elezione". Ovviamente, parlare del proprio deadname è una scelta personale. "Le persone trans possono non avere problemi a pronunciarlo, mentre molte altre decidono invece di non parlarne affatto. Come regola generale è bene non chiedere quale sia, né chiedere alle persone di mostrare foto di come si era prima del percorso di affermazione di genere".

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