Unabomber, gli attentati nel Nord-Est

Cronaca
Gianfranco Gatto

Gianfranco Gatto

La lunga inattività, dopo 32 ordigni piazzati, si presta a diverse interpretazioni. Tra le possibili spiegazioni vi sono quelle secondo cui l'attentatore potrebbe essere morto, oppure potrebbe essere stato arrestato per un altro reato e non identificato, o semplicemente aver perso interesse a colpire

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L’ultimo episodio risale alla primavera del 2006. Un ordigno celato in una bottiglia gettata in mare, a pochi metri dal bagnasciuga, a Porto Santa Margherita di Caorle, in provincia di Venezia. L’ultimo di lunga serie di attentati dinamitardi compiuti in Veneto e Friuli-Venezia Giulia tra il 1994 e il 2006 da un misterioso bombarolo, identificato con l’appellativo di Unabomber, in analogia con il caso dello statunitense Theodore Kaczinsky. Unabomber colpiva con regolarità, ma non è ritenuto serial killer, perché i suoi attentati, almeno apparentemente, miravano a ferire ma non ad uccidere. La sua strategia, priva di un chiaro movente, consisteva nel trasformare piccoli oggetti di uso comune come pennarelli, confezioni di uova, tubetti di maionese e candele in micidiali trappole esplosive, collocate in luoghi aperti al pubblico. Ordigni destinati a vittime casuali. In 12 anni, Unabomber ha ferito gravemente 5 persone, tra le quali 2 bambine.

La lunga inattività

Dal 2006 non si sono più verificati attentati attribuibili a Unabomber. La lunga inattività, dopo 32 ordigni piazzati, si presta a diverse interpretazioni. Tra le possibili spiegazioni vi sono quelle secondo cui l'attentatore potrebbe essere morto, oppure potrebbe essere stato arrestato per un altro reato e non identificato, o semplicemente aver perso interesse a colpire. Tra le teorie, anche quella secondo la quale Unabomber fosse da cercare tra il personale militare della base statunitense di Aviano.

L’inchiesta e la figura di Elvo Zornitta

Numerosissimi sono stati i sospettati nel caso Unabomber. Nel 2000 al vaglio degli inquirenti figurava un migliaio di nomi, ma negli anni le indagini si concentrarono su una dozzina di persone, le cui posizioni furono poi tutte archiviate. Il 26 maggio 2004 venne ufficialmente posto sotto indagine l'ingegnere Elvo Zornitta, residente ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone. I principali indizi erano rappresentati dalle elevate competenze tecniche relative al mondo degli esplosivi (che Zornitta stesso ammise), dall'area dei suoi spostamenti lavorativi, corrispondente a quella degli attentati, e dal rinvenimento di oggetti compatibili con quelli usati dall'attentatore, compresi alcuni petardi privi della polvere pirica. Questo complesso indiziario non fu però sufficiente: il sospettato fu strettamente sorvegliato, anche in casa, per due anni, durante i quali Unabomber colpì regolarmente. Il 10 ottobre 2006 parve che gli inquirenti avessero trovato una prova schiacciante contro Zornitta: la compatibilità tra le lame di un paio di forbici sequestrate all'ingegnere e i tagli sul lamierino dell'ordigno rinvenuto in una chiesa di Portogruaro, nel veneziano. Il 16 gennaio 2007 l'avvocato Maurizio Paniz ribaltò il risultato della perizia, ipotizzando che una piccola striscia del lamierino fosse stata tagliata con le stesse forbici dopo il sequestro. Successive analisi confermarono questa ipotesi. A finire sotto inchiesta fu l'agente di polizia Ezio Zernar, sospettato di aver truccato la prova allo scopo di incastrare Zornitt, il cui fascicolo fu archiviato il 2 marzo 2009 su richiesta della Procura.

Indagine riaperta

Nuovi importanti elementi potrebbero emergere dai test genetici cui sono stati sottoposti 10 reperti sequestrati negli anni insieme ad altri oggetti, nell’ambito della riaperta inchiesta sugli attentati dinamitardi attribuiti a Unabomber. Gli esami consentiranno di stabilire se sia possibile o meno identificare, attraverso gli oggetti, il responsabile, o i responsabili, dei gravi delitti commessi tra il 1994 e il 2006, in Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Per poter procedere, la Procura di Trieste ha riaperto le indagini per 11 persone, già considerate nel corso dei procedimenti avviati all’epoca, e successivamente tutti archiviate. Agli undici indagati si aggiungono altre 21 persone.

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