“Nessun deficit della memoria, nessuna alterazione del pensiero". Sono le conclusioni di Elvezio Pirfo, che ha parlato della personalità dell'imputata come di "un'identità incompiuta che dipende dagli altri". Il medico ha, poi, spiegato che la donna ha dimostrato anche "capacità di apprendimento"
“Alessia Pifferi è capace di intendere è di volere”. Lo ha confermato lo psichiatra Elvezio Pirfo riassumendo in aula le conclusioni contenute nella relazione richiesta dai giudici della Corte d’Assise di Milano. La donna è accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia di diciotto mesi, rimasta sola per sei giorni in casa.
“Pifferi è una donna quasi apatica, con una maschera emotiva incapace di esprimere emozioni e provare empatia”, ha detto Pirfo, che sostiene che la sua sia “un’identità incompiuta che dipende dagli altri”. Elementi “psicopatologici” che, in questo caso, però, “non raggiungono la qualità clinica per raffigurare un disturbo di personalità”, come ha spiegato l’esperto.
“Nessun deficit”
“Alessia Pifferi ha tutelato più i diritti e desideri di donna che i doveri di madre era capace di intendere e volere”, ha affermato lo psichiatra. “Nessun deficit della memoria, nessuna alterazione del pensiero. Quando descrive come ha lasciato la figlia per giorni mette in campo un’intelligenza di condotta, a ogni persona fornisce la risposta più desiderabile. Amplifica disturbi che io non ho rilevato”. Pirfo sottolinea anche come dal diario clinico non sia emerso alcun rischio suicidario né scompensi di tipo psicotico e che, per questo motivo, “il modo in cui si è organizzata l’attiva psicologica è stato inappropriato”.
“Come si evince dai colloqui, Pifferi utilizza spesso espressioni psicologiche. Questo vuol dire anche che c'è una capacità di apprendimento. Le parole usate dalle psicologhe nel corso dei colloqui vengono comprese, apprese e riutilizzate. Non sono in grado di dire se ci sia stata suggestione, ma sicuramente apprendimento”, ha proseguito il perito. Nel corso dei colloqui, la donna “si è presentata particolarmente curata rispetto all'ambiente detentivo, anche se la partecipazione affettiva è sempre parsa non congrua”.
leggi anche
Bimba morta di stenti, Pifferi disse a psicologhe: dirò cose contro pm
“Il presunto abuso è falso”
"Se la finalità del rinvio, richiesto dalla difesa, è quella di introdurre nel processo nuovo argomenti, elementi e documenti per sviscerare, analizzare e sezionare la mente dell'imputata vi prego, è stato fatto tutto quello che bisognava fare”, ha affermato il pm Francesco De Tommasi. “Se la finalità è insistere sulla validità di quella nota relazione, preannuncio che dimostrerò nero su bianco la prova che l'imputata ha reso nei colloqui dichiarazioni precostituite che sono state 'imbeccate' da altre persone”, ha continuato, facendo riferimento all’indagine che vede accusate le psicologhe del San Vittore di falso e favoreggiamento. “Il presunto abuso subito da minorenne è assolutamente falso ed è frutto di un suggerimento ben preciso dato all’imputata”, ha concluso.