La pandemia 4 anni dopo: che cosa resta del Covid. Dati e mappe

Cronaca
Raffaele Mastrolonardo

Raffaele Mastrolonardo

Il 21 febbraio del 2020 si registravano i primi casi italiani di contagio da Sars-Cov-2. Oggi il virus è ancora tra noi: una presenza assai meno pericolosa ma non innocua. I numeri.

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Era il 21 febbraio del 2020, quattro anni fa esatti, e in Italia si registravano i primi casi di Covid-19. Tra l’8 e il 9 marzo veniva “chiusa” la Lombardia mentre i contagi esplodevano e incertezza e paura si diffondevano nel Paese e nel mondo. Iniziava così la stagione della pandemia che avrebbe causato, solo in Italia, oltre 230mila vittime e sconquassato le vite di milioni di persone. Quattro anni dopo i momenti più bui appaiono lontani e i ricordi più tristi, almeno quelli di chi non ha perso i propri cari, sfumano. Eppure, anche se se ne parla assai meno, il Covid resta in mezzo a noi. 

 

Anche se in forme e, fortunatamente, con conseguenze molto diverse rispetto ad allora. 

Meno minaccioso ma presente

Il virus, con le sue molteplici varianti, continua infatti a circolare. Solo che, grazie all’immunità acquisita dalla popolazione tramite vaccini e contagi, provoca decisamente meno danni. Periodicamente riemerge senza andarsene del tutto, meno minaccioso ma non del tutto innocuo. Per capirlo basta guardare all’andamento dei ricoveri ospedalieri. A fine 2023 gli ospedali italiani ospitavano oltre 7.600 persone con sintomi da Covid-19. Più di 270 invece coloro che dovevano ricorrere a cure intensive a causa della malattia. Non poche ma le cose, ovviamente, vanno viste in prospettiva.

 

E i numeri raccontano che siamo lontanissimi dai picchi passati. Solo per fare un confronto, nell'aprile del 2020 i ricoverati con sintomi erano quattro volte tanti, quasi 30mila (34 mila il novembre successivo). Oltre 4mila invece i pazienti nelle terapie intensive. Cifre analoghe si sarebbero registrate nel novembre 2020 e nel marzo 2021. 

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Questione di punti di vista

Perché alla fine, si potrebbe dire, è tutta una questione di prospettiva. Di punti di vista. E di scelte. La più importante delle quali è come decidiamo di convivere con un virus. Se di una qualunque malattia infettiva ci dicessero che ha provocato più di 2.700 vittime negli ultimi due mesi e mezzo, probabilmente scatterebbe l’allarme. Ma se questa malattia è il Covid, dopo tutto quello che abbiamo passato, quel numero diventa accettabile, quasi non fa notizia. Eppure, appunto, tra il primo dicembre e il 14 febbraio, i morti attribuibili a Covid nel nostro Paese hanno raggiunto proprio quella cifra. 

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Tuttavia, il giudizio cambia se i circa 17 morti giornalieri dell’ultimo mese vengono confrontati con gli 800 decessi quotidiani raggiunti nella primavera e nell’inverno del 2020. Sembrano, e sono in qualche modo, due ere diverse. 

Morti in eccesso

E proprio uno sguardo complessivo sui decessi, vale a dire la conseguenza più tragica della pandemia, ci aiuta a dare una valutazione più adeguata del presente. Ma anche del passato, soprattutto di fronte a coloro che ancora minimizzano l’impatto di quanto accaduto. Per farlo si può guardare alla cosiddetta “mortalità in eccesso”, ovvero ai decessi per tutte le cause registrati negli ultimi 4 anni e confrontati con le media precedenti l’esplosione del Covid-19. 

 

Nel 2023, dicono i numeri raccolti dall’Istat, si sono verificati circa 8.600 morti in più, per tutte le cause, rispetto alla media 2015-2019. Significa che si continua a morire con maggiore frequenza rispetto a quanto non accadeva prima del febbraio 2020. E su questo il Covid ha certamente delle responsabilità. Sia dirette, sotto forma di vittime causate dal virus stesso, sia indirette, sotto forma di altre patologie aggravate dal Covid o di un sistema sanitario che, proprio a causa della pandemia, deve ancora recuperare l’efficienza passata.

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Allo stesso tempo, la cifra del 2023 resta lontana da quelle degli anni precedenti. Nel 2020, dicono sempre i dati Istat, i morti in eccesso furono oltre 100mila, 63mila nel 2021 e 67mila nel 2022. In totale, oltre 230 mila vite che non sarebbero andate perdute se non fosse scoppiata l’epidemia. Un’enormità che andrebbe sempre tenuta mente. Per rispetto verso chi ha perso la vita, per amore di verità storica di fronte a eventuali revisionismi e per ricordare che, pur nella relativa tranquillità attuale, la causa di quella tragedia non è stata eliminata del tutto. 

 

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