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Regeni, al via il processo. Legale dei genitori: "Aspettavamo questo momento da 8 anni"

Cronaca
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Nell'udienza sono state avanzate dai difensori una serie eccezioni per chiedere la nullità del decreto che dispone il giudizio, i giudici scioglieranno la riserva il 18 marzo. Tra i nomi in lista come testimoni anche Paolo Gentiloni, Marco Minniti ed Elisabetta Belloni. Gli imputati - il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif- sono accusati a vario titolo di omicidio aggravato, sequestro di persona aggravato e concorso in lesioni personali aggravate

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Si è aperto oggi a Roma il processo ai quattro 007 egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni: a giudizio vanno il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif. Gli imputati sono accusati a vario titolo di omicidio aggravato, sequestro di persona aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. "Una giornata molto importante", hanno detto i genitori di Regeni, Claudio e Paola, entrando in tribunale. "Erano otto anni che aspettavamo questo momento. Finalmente speriamo che il processo possa partire. Sono state sollevate le questioni preliminari che erano già stata rigettate in tutte le altre aule di giustizia: speriamo, dopo la decisione della Consulta che rafforza molto la nostra posizione, di potere avere un processo contro chi ha fatto tutto il male del mondo a Giulio", ha detto l'avvocato Alessandra Ballerini, legale assieme al collega Giacomo Satta dei genitori di Regeni, al termine dell'udienza nella quale sono state avanzate dai difensori una serie eccezioni per chiedere la nullità del decreto che dispone il giudizio cui i giudici scioglieranno la riserva il prossimo 18 marzo.

L'udienza

"Non è avvenuto niente di diverso da ciò che ci aspettavamo", dice la legale a una domanda dei cronisti sulle questioni preliminari sollevate poco prima dai difensori degli imputati e su cui il giudice si è riservato di decidere. Una di queste era la conoscenza delle generalità dei quattro 007 imputati. "Quel che conta non è la conoscenza delle generalità, ma la possibilità che il detenuto possa essere identificato in sicurezza per l'esecuzione della pena", ha detto in aula il pm Sergio Colaiocco ricordando che, in un procedimento precedente, era bastata una foto per rendere processabile un imputato. Un detenuto "afgano era stato identificato non con le sue generalità, ma con una fotografia", ha spiegato. "Per il problema di giurisdizione: la questione è già stata dibattuta da tutte le Corti che si sono occupate della tragica vicenda - ha ricordato in aula la Ballerini - Per i tre imputati accusati del 'solo' sequestro aggravato - il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim -, voglio fare presente che il sequestro è avvenuto non in Italia, ma in Egitto dove 3 o 4 persone al giorno vengono fatte sparire. E' stato trasportato da un luogo di tortura a un altro: è evidente che si tratti di violenza fisica e negarla credo sia quantomeno discutibile".

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I possibili testimoni

Davanti ai giudici della prima Corte d’Assise potrebbero comparire in qualità di testi anche ex premier, ex ministri e alti funzionari che, ai tempi della vicenda – Regeni è stato ucciso al Cairo nel gennaio 2016 – ricoprivano cariche importanti tra Farnesina e servizi di sicurezza. Si va dall’allora primo ministro Matteo Renzi all’ex ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, dall’ex responsabile della autorità delegata per la sicurezza della Repubblica Marco Minniti all’ex segretaria generale per la Farnesina Elisabetta Belloni. Non solo: le parti del processo hanno chiesto di convocare a Roma anche il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. A loro si aggiunge anche l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi.

La decisione della Consulta

La vicenda giudiziaria finora non è stata delle più semplici, anche a causa della perenne assenza degli imputati. Lo scorso settembre la Consulta ha fatto uscire il procedimento dalla palude in cui era finito: ha dichiarato illegittimo l'art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice proceda in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell'imputato, è impossibile avere la prova che quest'ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo. In pratica, è stato considerato non legittimo l'articolo nella parte in cui non prevede che il processo possa andare avanti per i delitti di tortura definiti dall'art. 1, comma 1, della Convenzione di New York e cioè commessi da funzionari pubblici o da chi comunque agisce a titolo ufficiale, e deve esserci un atteggiamento ostruzionistico da parte dello Stato di appartenenza degli imputati che renda impossibile provare che questi siano a conoscenza della pendenza del procedimento a loro carico. In questo modo basta che gli imputati, come già accertato, siano a conoscenza della semplice esistenza del procedimento. 

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L'Avvocatura dello Stato: "Un crimine orrendo"

La Presidenza del Consiglio si è costituita parte civile e ha sollecitato, in caso di condanna degli imputati, un risarcimento di 2 milioni di euro. L'Avvocatura dello Stato, nell'atto di costituzione di parte civile, ha parlato di "un orrendo crimine" che "ha colpito profondamente la comunità nazionale, per le incomprensibili motivazioni e per le crudeli modalità di esecuzione".

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