Perché il negazionismo minaccia le nostre vite reali

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

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Si tratta di un meccanismo di difesa della nostra mente. Ingannevole. Sovente malato. Come i protagonisti del romanzo di Buzzati, “Il deserto dei tartari”, i suoi seguaci attendono un nemico che non c’è, cedendo a una sorta di delirio che può fare male, ad essi e al loro prossimo

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“Capacità di fornire risposte adattive a stimoli nuovi”. Questa era l’intelligenza secondo il professore di Psicologia dell’età evolutiva. Siamo negli anni Settanta. Mi piacevano quelle parole, le vedevo agire in questi stessi giorni nell’azienda presso la quale lavoravo, incarnate in un collega, quinta elementare, capace di fare tutto. Non c’era situazione che lo mettesse in difficoltà. A qualunque “imprevisto”, segnatevi questo termine perché lo riprenderemo, aveva una risposta, non solo nei processi lavorativi. Quando si sfondò il pavimento della mia vecchia automobile, una Mini Minor comprata usatissima per quattrocentomila lire, armato di lamiera e rivettatrice mise le cose a posto in pochi minuti.

Associando le parole del professore e il comportamento di quell’uomo, mi è entrato bene in testa cos’è l’intelligenza. Infatti, da allora sono diventato un tutto fare e penso che se mi perdessi nella foresta, memore della lezione del collega, avrei qualche probabilità di sopravvivere e di trovare la via del ritorno. Non solo. Se dovessi elencare i maestri a cui debbo parte della mia formazione professionale, credo che quella persona così “adattiva”, peserebbe almeno quanto il mio didatta. Quando si presenta un problema prima lo affronti, poi ti domandi da dove arriva. Al massimo valuti i due fronti nello stesso momento.

Utilizzando la definizione dell’intelligenza come risposta adattiva a stimolo nuovo, mi pare conseguente che il negazionismo non sia una risposta adattiva e, dunque, non possa essere considerato un comportamento intelligente. Anzi.

Due giovani donne, quasi 35 anni fa. Stessa scoperta, un nodulo al seno. Un centimetro circa la prima, che corse dal chirurgo sottoponendosi a una visita senologica, con tutte le procedure che seguirono, salvando la propria vita e quella dei suoi figli, che si gode ancora oggi. Una noce l’altra. “Non volevo accettarlo, era un incubo, già mia madre era morta di cancro al seno. Continuai a vivere senza parlarne, neppure con mio marito. Sperai fosse una semplice ciste e che sarebbe sparita così come era comparsa”. Questo mi raccontò poco prima di morire.

Esiste un negazionismo da paura o da quieto vivere, mai a costo zero, però. Ne parla il pastore Martin Niemöller nella celebre poesia che descrive l’indifferenza delle persone davanti ai prepotenti. Nessuno nel quartiere eccepiva quando i nazisti venivano ad arrestare ebrei, omosessuali, comunisti. Così, quando vennero a prendere gli indifferenti, non era rimasto nessuno a levare la voce. Il nazismo diventò un mostro, anche a causa del negazionismo delle cancellerie europee, che sperarono si risolvesse in una semplice influenza, esattamente come capitò ai renitenti al vaccino durante la pandemia da coronavirus.

“Il tempo della cecità” è il titolo di un vecchio articolo sul fidanzamento. Vi descrivevo tutte le negazioni che mettiamo in atto quando non vogliamo perdere una persona di cui siamo innamorati, ignorandone limiti e difetti, che i vicini vedono benissimo. Quando si trattano persone separate, spesso si registra che le ragioni addotte quale causa della rottura, erano già presenti e visibili durante il fidanzamento. “Mi dicevano che era sleale e non aveva voglia di lavorare, ma io reagivo pensando che erano solo invidiosi della nostra bella coppia”. “Arrivava sempre in ritardo, pensavo fosse pigrizia, non mi rendevo conto che erano i prodromi di quella mancanza di rispetto che mi avrebbe travolta”.

Ma le motivazioni del negazionismo, atteggiamento che sovente ricorda i capricci dei bambini piccoli, sono sconfinate, vanno dall’ignoranza alla superstizione, dall’immaturità all’opportunismo, fino alla vendetta verso i propri simili, con un tratto comune molto chiaro. Parlo della carenza di sentimento sociale, non è una di quelle espressioni eleganti che fanno tendenza, ma qualcosa di molto più serio e scientificamente rilevante, un ingrediente decisivo per le sorti della persona e della comunità, persino per il progresso della nostra specie.

Il grande studioso della mente, Alfred Adler lo definiva il “barometro della normalità”, insieme all’intelligenza, intesa secondo la definizione del professore di Età evolutiva, è la vera polizza di assicurazione del genere umano e lo sarebbe anche della Natura, ultima vittima delle turbolenze interiori di chi pensa che la crisi climatica sia un’invenzione di entità oscure, simili a quei sabotatori di condominio che passano le giornate a fare andare il macinino elettrico del caffè per disturbare il vicino di casa proprio mentre cerca di guardare la sua trasmissione preferita.

I negazionisti, dunque, sono carenti di interesse verso i propri simili e possiedono un pessimo spirito di adattamento all’imprevisto. Secondo i criteri della selezione naturale, sul tempo lungo costoro saranno sbalzati fuori dai centri decisionali e dai posti di responsabilità, perché non sarebbero in grado di gestire la complessità in cui siamo immersi, all’interno della quale l’imprevisto è la norma, non l’eccezione. La complessità richiede reazioni responsabili, realistiche e, quando serve, veloci, che possono significare anche perdite o risparmio di vite umane, ma la velocità non è compatibile con le mille resistenze presenti nella psiche dei negazionisti, che prima di affrontare un problema danno fondo a tutte le loro deformazioni, facendolo passare attraverso un’infinita serie di filtri, di diffidenze, di sospetti.

Un processo laborioso, che li travolgerà, trascinando nei gorghi i poveri vicini.

Chiedo a un agronomo affermato se nella sua categoria esiste il negazionismo climatico. Mi risponde che non sarebbe possibile, perché gli effetti se li trovano di fronte quotidianamente. Loro vivono nella realtà situata, assistono dal vivo, non da dietro uno schermo, al mortale braccio di ferro ingaggiato dalla Natura contro gli eventi climatici. Quando, nei mesi primaverili, vedono cunei di gelo improvvisi punire le piante che si erano fidate dalle correnti calde di gennaio e febbraio, dando corso alla fioritura, non possono giocare con le categorie delle cartomanti, ma devono trovare risposte competenti.

Il negazionismo è un meccanismo di difesa della nostra mente. Ingannevole. Sovente malato. Come i protagonisti del romanzo di Buzzati, “Il deserto dei tartari”, i suoi seguaci attendono un nemico che non c’è, cedendo a una sorta di delirio che può fare male, ad essi e al loro prossimo.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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