Bullismo, zeri e pistole: disperata la scuola ci chiede ascolto
Cronaca ©GettyDal caso della prof di Rovigo all'idea di abolizione dei voti bassi emerge l'abitudine furba di intestare all'istituto scolastico i nostri debiti di bilancio, cui noi adulti facciamo ricorso volentieri, per delocalizzare responsabilità che invece ci appartengono e confinare i conseguenti imbarazzi. Quasi dovessimo stoccare delle scorie radioattive in un luogo sicuro e, se possibile, dimenticarcene
Maria Cristina Finatti è la docente di Rovigo raggiunta e ferita dai pallini sparati contro di lei da alcuni studenti durante una lezione.
Philipp Achammer ricopre il ruolo di assessore alla scuola in lingua tedesca presso la Provincia Autonoma di Bolzano. Nei giorni scorsi si è segnalato per la proposta di abolire i voti sotto il quattro.
Due vicende che apparentemente riguardano la scuola. Come, sempre apparentemente, la riguarda il bullismo.
Abitudine furba, quella di intestare alla scuola i nostri debiti di bilancio, cui noi adulti facciamo ricorso volentieri, per delocalizzare responsabilità che invece ci appartengono e confinare i conseguenti imbarazzi, quasi dovessimo stoccare delle scorie radioattive in un luogo sicuro e, se possibile, dimenticarcene.
Si è parlato di entrambe le vicende, non quanto sarebbe stato necessario, perché si sommano al dibattito, quello sullo stato di salute del mondo giovanile, che sembra procedere per affermazioni iperboliche mischiate a continue invocazioni di interventi riparatori, curativi soprattutto, perché l’idea di fondo è che si interviene sui guasti, senza una parola su ciò che, a getto continuo, li provoca. Malesseri esistenziali profondi, che non sono malattia, ma ricerca di un senso che persino per gli adulti è diventato molto difficile da reperire.
Un atteggiamento che spinge a etichettare (del resto anche i manuali di psichiatria incoraggiano a chiamare le cose con un nome), alimentato dal triennio di pandemia, che non è stato il compagno di viaggio ideale per i cittadini, per tutti i cittadini, non solo per i bambini e i ragazzi, ma che oggi appare solo come un’occasione persa per porre le nuove generazioni di fronte allo scomodo e ignoto universo parallelo dell’imprevisto, lasciandole così in balia della pericolosa illusione di una perenne navigazione in acque tranquille, che deposita solo ulteriore fragilità tra i fardelli dei ragazzini, lungi dal salvarli.
La vita provvederà a spazzare via gli effetti di queste omissioni, perché non esisteranno mai percorsi netti. Non per noi, non per i nostri figli.
Scenari, quelli dell’imprevisto e delle frustrazioni annesse, usciti, se mai vi fossero entrati, dall’agenda di una generazione di educatori sempre più amici e tutori acritici della prole, genitori che paiono avere sotterrato anche la carta dell’impopolarità, la più educativa in assoluto.
Nella bruttissima storia di Rovigo, sono presenti gli spari, spari veri, insieme alla giusta denuncia penale presentata dalla docente a tutti e 24 gli studenti. Sono assenti, invece, le scuse alla vittima da parte dei genitori, pure di fronte a un salto di scala che evoca le violenze scioccanti che si verificano nelle scuole americane. Stavolta, al netto del pericolo di gravi danni alla vista, corso dalla professoressa, è andata bene, ma non si possono escludere atti di emulazione al rialzo, soprattutto se vi saranno personaggi pubblici che, invece di esprimere orrore per quei ragazzini armati capaci di sparare alla loro insegnante, deridendola mentre
filmano l’azione, si esercitano nell’ovvio, raccontando che bisogna essere in grado di “tenere la classe”, senza avere però idea di cosa si trovi oggi nelle nostre classi.
L’altra faccia di questa medaglia è l’assessore bolzanino, il quale sostiene che la sua singolare proposta nasce dal confronto con i rappresentati degli studenti. Costoro denunciano che i voti sotto il 4 sono ancora molto presenti nelle scuole.
Il voto è un giudizio di valore, inutile negarlo, e se l’obiettivo è stimolare un bambino oppure un ragazzo a fare meglio, appare evidente che sotterrarlo con un due non è funzionale allo scopo.
Si torna spesso sul tema del voto, che non è una semplice questione numerica, bensì qualcosa di molto più serio. Riguarda il naturale sentimento di inadeguatezza che interessa l’esistenza di ogni persona in formazione.
Quando un bambino inizia la lunga filiera dei collaudi sociali è molto sensibile ai giudizi che darà di lui il mondo circostante. Non possedendo ancora competenze che gli consentono di autovalutarsi, egli cecherà di desumere gli indizi necessari nei riscontri che arrivano “da fuori”. Il primo autorevole banco di prova, il luogo da dove i giudizi giungeranno in modo sistematico, è proprio la scuola, e non è un caso se quando nei pazienti raccogliamo i ricordi remoti dell’infanzia, lo scenario dove li troviamo collocati sovente è quello scolastico, in particolare gli insuccessi e le smentite subiti tra le sue mura.
A scuola ogni scolaro, ogni studente, aggiunge pennellate importanti al proprio stile di vita, dopo averne posto le basi nella famiglia d’origine. Tutto ciò mentre incombe la sottile convinzione di essere inadeguato a fronteggiare i propri compiti sociali. Un voto bassissimo, soprattutto se reiterato, cade su questo terreno accidentato, facendo percepire se stessi come eccezioni negative, puntini solitari lontani dal gruppo. Un voto basso ma non umiliante, quale può essere un quattro, colloca invece in un indistinto plotone di seconde file piuttosto nutrito, dove c’è spazio non solo per gli scarsi, ma vi trovano posto i pigri, gli sfortunati, quelli che potrebbero farcela. Orizzonti diversi, peraltro senza che tale omogeneizzazione crei danno ad alcuno, semmai beneficio a chi non viene etichettato come caso senza speranza e può aspettare con minore angoscia la seconda possibilità, peraltro in buona compagnia.
Gli spari all’insegnante e i voti vicini allo zero, sono figli di violenze che la scuola importa dall’esterno, non sono sintomi primari, semmai riflessi di una pressione sempre maggiore che noi adulti subiamo e infliggiamo nell’esercizio dei nostri compiti vitali, come l’amore e il lavoro. Le famiglie da cui provengono studenti e insegnati, contengono già le premesse che infiltreranno la scuola, mettendola in balia di cose più grandi di lei.
Se non aiuteremo la famiglia, con competenza, lavorando sul terreno che la contiene, la scuola esploderà, sarà solo questione di tempo.
Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).
È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/