Neonato morto a Roma, le esperte: "Cambiare la narrazione della maternità e supportarla"

Cronaca
Giulia Mengolini

Giulia Mengolini

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Dopo 17 ore di travaglio, la 'mamma del Pertini' è stata lasciata sola con il bimbo e si è addormentata. Una storia simile a quelle di tante altre donne che con rabbia dicono: “Poteva succedere a me, sono solo stata fortunata”. L'attivista Francesca Bubba al lavoro su una proposta di legge contro la violenza ostetrica: "Basta romanticizzare la maternità". La psicoterapeuta Silvia Recchia a Sky Tg24: "Serve una rete di sostegno per le neo-mamme, dopo il parto sono abbandonate: si rischia la depressione post partum"

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Arriveranno tra 60 giorni i risultati dell'autopsia del neonato morto nella notte tra il 7 e l'8 gennaio scorso nel reparto di ginecologia dell'ospedale Pertini di Roma.
La madre si è addormentata mentre stava allattando il figlio, stremata da 17 ore di travaglio. Le era stato negato l’accesso al nido per consentire il rooming-in, la permanenza del neonato e della madre nella stessa stanza in un tempo più lungo possibile durante le 24 ore. Quando si è svegliata il neonato era senza vita.
Secondo il protocollo il personale dell'ospedale avrebbe dovuto sorvegliare che il neonato venisse riportato in culla dopo l'allattamento. I magistrati devono chiarire se si siano violati i protocolli e se vi siano state nelle negligenze, come denunciato da alcuni familiari della piccola vittima. Il marito ha raccontato al Corriere: “L’hanno abbandonata. La mia compagna non si reggeva in piedi dopo 17 ore di travaglio, ma è stata obbligata a prendersi cura del piccolo da subito. Aveva chiesto di portare il bimbo al nido per poter riposare qualche ora, ma le hanno detto di no”. In base a quanto si apprende il fascicolo aperto dalla Procura di Roma per omicidio colposo è al momento contro ignoti.
Quello che è certo è che la donna dopo un travaglio lunghissimo era provata e stanca, e la sua storia è simile a quelle di tante altre donne che ci sono passate e che con rabbia dicono: “Poteva succedere a me, sono solo stata fortunata”.

Le testimonianze delle madri: "Noi lasciate senza aiuti"

“La sera del parto, in ospedale dopo 15 ore di travaglio e cesareo d'urgenza, mi sono addormentata sfinita, con mia figlia Giulia sul petto. Mi sono svegliata urlando perché non c'era più e pensavo fosse caduta a terra e invece per fortuna mia mamma me l'aveva messa nella culla. Poteva capitare a tutti”, dice Angela.
 “Io sono stata abbandonata dopo 20 ore di travaglio, non riuscivo ad alzarmi dal letto perché le gambe erano ghiacciate, non le sentivo più dopo gli anestetici che mi hanno fatto, epidurale ecc… Il bambino è nato con la ventosa, mio marito è stato 10 minuti dopo aver partorito e sono dovuta rimanere tre giorni senza l'aiuto di nessuno. Ero stremata, quando mi alzavo perdevo sangue dai punti e mi dovevo occupare di mio figlio”, racconta Nicole.
“Io sono stata accanto a mia sorella per settimane per tutti e tre i figli per farla riprendere bene prima di farle fare la madre da sola. Ed era veramente debole e stremata. Come è possibile averle dato subito il bimbo dopo 17 ore di travaglio?”, si chiede Annarita. “Esperienza terribile partorire a Roma. Sono stata fortunata perché era il secondo figlio perciò sapevo cosa fare, ma le ragazze che erano con me nemmeno sapevano attaccate i bimbi, venivano ignorate totalmente dalle infermiere. Io alla richiesta di aiuto per un cambio pannolino (a quattro ore da un cesareo) mi sono sentita rispondere “si alzi e vada lei, non lo fate o figli se non avete energie”, è l’esperienza di Benedetta.
Anche l’imprenditrice digitale Chiara Ferragni, madre di due bambini, si è aggiunta alle voci delle donne che in queste ore stanno mostrando solidarietà alla mamma del Pertini, e stanno raccontando sui social della solitudine in cui sono state lasciate poche ore dopo il parto. "Le donne vengono sempre lasciate sole e questo è un problema grandissimo. Mi ricordo quando ho partorito Leo dopo un'induzione di 24 ore e quando mi è stato lasciato al seno per l'allattamento ho rischiato in primis di addormentarmi diverse volte. Ci vuole supporto e aiuto. Siamo donne e mamme, non super eroi”, ha scritto Ferragni su Instagram.

L'attivista Francesca Bubba: "Smettiamo di romanticizzare la maternità"

Francesca Bubba si occupa di maternità come attivista. “Per me la maternità è diventata una forma di attivismo perché da quando ho un figlio ho notato quanti stereotipi ruotano attorno a questo tema. In primis la romanticizzazione, come se fosse tutta rosa e fiori”. Alla base, spiega, c’è un concetto fuorviante: l’equazione che paragona il sacrificio all’amore di cui la maternità è investita. "Anche solo nell'azione di minimizzare o ridicolizzare il dolore delle madri c'è una matrice di violenza ostetrica. L'antica storia che la sofferenza del parto si dimentica perché positiva la conosciamo tutti. Soffro, ma almeno posso essere aiutata?".
Si chiede l'attivista: dopo una qualsiasi operazione chirurgica di qualche ora non chiederemmo mai al paziente di occuparsi di un altro essere umano da solo, perché invece da una donna che ha appena partorito ci si aspetta che lo faccia?
Avremmo bisogno di una narrazione più onesta, quella che normalizza la stanchezza delle ore successive al parto, ma anche nei giorni e nelle settimane. Il sacrificio, come la privazione del sonno, non è una forma di amore per nessuno”.
"Spesso, spiega, sia ostetriche che consulenti autocertificati portano avanti questa visione della maternità ancestrale ed estremamente totalizzante. Cosa si può fare per migliorare le cose? "Sicuramente serve un cambiamento culturale, ma sappiamo che i tempi sono lunghissimi. Nel frattempo penso sia necessaria un’azione concreta e collettiva, perché di tempo non ne abbiamo più. Per questo ho pensato a una proposta di legge volta a regolamentare gli ambienti dedicati alla maternità, delimitata però da criteri specifici che non lasciano margini di libera interpretazione perché è soprattutto lì il problema. Ho coinvolto un gruppo di attiviste professioniste. Abbiamo steso alcuni punti, tra cui quello della violenza ostetrica: dagli illeciti da parte dei consulenti, alla gestione del rooming in, ai parti in casa e i protocolli di sicurezza".
Non ci sono dubbi che il rooming-in, afferma l'attivista, abbia dei benefici sulle madri come sostengono gli esperti, "ma è una formula che non può essere né esclusiva né standardizzata, e devono esistere delle alternative in loco. Non è implausibile arrivare al parto convinte di affidarsi al rooming in ma poi scontrarsi con la realtà e cambiare idea, per questo deve esistere sempre la possibilità di usufruire del nido". 
Sul caso si sono espresse anche la Società Italiana di Neonatologia (SIN), la Società Italiana di Pediatria (SIP), la Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (SIGO) e l'Associazione Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) sottolineando il valore della pratica del rooming-in, ma raccomandando che "l'implementazione della formula, per essere appropriata, preveda che le famiglie siano adeguatamente informate, coinvolte e supportate, e che gli operatori sanitari offrano un'assistenza per quanto possibile individualizzata ed empatica".

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Il parere della psicoterapeuta: "Mai far sentire incapaci le neo mamme, il rischio è la DPP"

Silvia Recchia, psicologa e psicoterapeuta familiare e relazionale, chiarisce che per le neo mamme sarebbe fondamentale un supporto fin da subito, "perché nelle donne che hanno appena partorito può avvenire un crollo emotivo importante, crollo che può essere il preludio dell’esordio di una depressione post partum". Spiega la dottoressa che è importante che la neo mamma non si senta "incapace o sbagliata", mentre spesso il supporto in ospedale è carente. "Ed è pericoloso sentirsi dire nei primi giorni frasi come 'questo dovresti saperlo già fare' oppure 'te l'ho già spiegato'. In quella fase molto delicata c’è invece il forte bisogno di essere supportate dal punto di vista sia pratico che emotivo. Importante è sapere di poter contare su qualcuno".
La psicoterapeuta spiega che cadere nella depressione post partum "è molto facile". E tra i fattori di rischio ci sono appunto quello del mancato sostegno "sia fuori che dentro l’ospedale. Il supporto dovrebbe essere sia pratico che emotivo. Due esempi banali: se ho una crisi di pianto perché sono stanca, devo sapere che mi è concessa. Così come mi deve essere concesso il sonno o il tempo di una doccia".
Sul tema del rooming-in, secondo l'esperta la via giusta sarebbe alternarlo al nido a seconda delle esigenze della madre. "È vero che il bambino ha bisogno di stimolare il contatto fisico con la mamma nelle prime ore, ma credo che un formula mista sia la soluzione migliore: averlo vicino, ma anche permettere alla mamma di dormire qualche ora. Bisogna ascoltare i bisogni della neo mamma. E non farla sentire incapace o giudicata, mai". Va ricordato, spiega, che una volta che il bambino nasce finisce il lavoro del ginecologo, la figura di riferimento durante i nove mesi, mentre inizia quello della mamma. Che però da quel momento inizia a essere sola.

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