Il 25 Novembre serve a ricordare la violenza a chi non l'ha vissuta. Per chi c'è passato il senso è diverso: essere capiti - e aiutati - un pelo di più dagli altri. Una ragazza che ha perso la madre per mano dell'ex partner racconta la sua storia, e il gruppo che ha creato per favorire l'aiuto reciproco tra gli "orfani di femminicidio"
Servono giornate come il 25 Novembre, oppure l'8 Marzo, per ricordarlo. Servono a noi, i servizi tv, i titoloni sui giornali, a noi fortunate e fortunati che la violenza da parte di un uomo su una donna la vediamo da fuori. A chi invece l'ha conosciuta, queste giornate servono solo per essere capiti - e aiutati - un pelo di più da noialtri. Noialtri fortunati, sì, ma non immuni, perché può succedere a chiunque, non c'è merito o demerito.
Florencia un merito lo ha, invece: è quello di non voler dimenticare, ma anzi di ricordare e raccontare, pure se è doloroso. Qello che è successo a sua madre se lo è tatuato sul braccio, per tenerlo bene a mente, insieme ai nomi dei suoi due fratelli, per non lasciarli troppo andare ora che la vita li ha portati in luoghi diversi. Aveva 12 anni quando sua mamma Antonia è stata uccisa dall'uomo con cui aveva avuto una relazione, e dal quale aveva avuto il suo terzo figlio. Antonia lo aveva lasciato dopo aver scoperto che lui le aveva sempre taciuto non solo una ex moglie, ma anche una relazione parallela. Una doppia, forse tripla vita. Antonia invece voleva cosa semplici: un uomo di cui fidarsi, la famiglia. Non era stata fortunata nè prima nè dopo. Lui la scelta di chiudere non l'aveva presa bene.
Le minacce al telefono e le denunce inascoltate
"La minacciava, telefonava qui e nel posto dove mia mamma lavorava per insultarla. Io lo sapevo che sarebbe successo, perché lui lo diceva che avrebbe ucciso mia mamma". Florencia non usa mezzi termini, ricordando anche che per ben tre volte sua madre si era rivolta alle forze dell'ordine. "Una volta lui aveva cercato di investirla con l'auto sotto casa, io avevo chiamato il 113 e lo avevo gridato dalla finestra. Lui a quel punto era scappato, quando arrivarono i poliziotti dissero: 'Ci dispiace ma senza prove possiamo fare poco' " ricorda con amarezza. Trascorrono tra minacce, insulti e paura ben sei anni. Poi succede davvero. Febbraio 2012, a San Giuliano Milanese, dove lui viveva e dove lei era andata per farsi firmare delle carte. Lui sarà condannato poi all'ergastolo, ma è da quel giorno che la vita di Florencia e dei suoi fratelli cambia.
Le difficoltà di chi resta solo e il gruppo "Noi orfani speciali"
Comincia una lunga serie di difficoltà. Florencia deve finire la seconda media a Milano. Terminato l'anno scolastico lei e il fratello minore vengono mandati dagli assistenti sociali prima da una sorella della mamma in Toscana, poi, due anni dopo, in una casa famiglia. Da lì Florencia tornerà in Argentina, dove è nata, a casa di una cugina di sua mamma. Suo fratello piccolo sarà intanto accolto da una famiglia affidataria, dove vive tuttora. A 18 anni Florencia torna di nuovo in Italia, prima ancora a Milano, dall'altra sorella di sua madre, poi ospite a casa di un'amica, dal 2019 di nuovo in Toscana, con sua nonna.
In questi sette anni di peripezie c'è una sola costante, che va e viene ma alla fine torna sempre: è il ragazzo che oggi è diventato suo marito. Scelto, ma non con il romanticismo che ci si aspetterebbe da una neo 23enne. Che alla domanda: "Come si fa dopo quello che hai vissuto a fidarsi di un uomo?", risponde schietta: "Lui lo sa, io non mi fido al 100% di nessuno, neppure di lui". Florencia è consapevole che la sua vita finora è stata difficile. Ed è per questo, per aiutare chi ha vissuto quello che ha vissuto lei, che durante la pandemia ha creato il gruppo "Noi orfani speciali". Paradossalmente per lei, spiega, è stato più facile perché sua madre è stata uccisa da un uomo che non era un familiare, "ma chi perde la madre per mano del padre subisce una doppia perdita". Il gruppo serve anche a questo, ad aiutarsi e passarsi contatti - di associazioni, di psicologi. "Perché oggi c'è più rete, ma non c'è più attenzione, non sempre si capisce di che cosa un orfano come noi ha bisogno. Con questo gruppo io faccio da tramite con le associazioni che ho conosciuto negli anni, ma soprattutto con questo gruppo ci sentiamo meno invisibili".