Il razzismo spiegato (senza grandi speranze) ai razzisti

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

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Il lato sfacciato, volgare, del fenomeno non richiede alcuno sforzo per essere individuato, perché non prova nemmeno a nascondersi, le persone che ne sono portatrici, in genere piuttosto involute, non possiedono strumenti di peso e di misura morali per valutare quanto le loro prese di posizione siano riprovevoli, anzi si aspetterebbero dei riconoscimenti in quanto ritengono di agire nell’interesse comune. Paradossalmente, tale tipologia di razzismo è la meno preoccupante

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Una quindicina di anni fa, un’adolescente di origini sudamericane, mulatta, adottata da una famiglia italiana, era pacificamente intenta a chiacchierare con una compagna di scuola sulla panchina di un parco. Improvvisamente una donna si era messa a gridare, sostenendo di essere stata derubata.

Alcuni giovani locali, che passavano casualmente da quelle parti, decisero che le responsabili dovevano essere le due amiche, straniere, e le aggredirono, spaventandole a morte.

Le conseguenze per la ragazza di cui parlo furono drastiche, dopo quell’episodio iniziò a tormentarsi la pelle con la candeggina, nella vana speranza che si schiarisse. Avrebbe ottenuto solo di complicare seriamente la propria situazione fisica e psicologica.

Il direttore di un noto settimanale mi chiese un commento per il suo giornale, che andò di traverso al sindaco della cittadina teatro dei fatti. Piccato, scrisse una lettera di protesta portando come argomento a discarico, tra l’altro, che “se qualcuno grida al ladro e nei paraggi c’è una persona di colore, istintivamente penso sia la responsabile e mi comporto di conseguenza!”.

Davvero un trattato di antropologia culturale.

Questo è il lato sfacciato, volgare, del razzismo, non richiede alcuno sforzo per essere individuato, perché non prova nemmeno a nascondersi, le persone che ne sono portatrici, in genere piuttosto involute, non possiedono strumenti di peso e di misura morali per valutare quanto le loro prese di posizione siano riprovevoli, anzi si aspetterebbero dei riconoscimenti in quanto ritengono di agire nell’interesse comune. Paradossalmente, tale tipologia di razzismo è la meno preoccupante, in quanto ciò che si rende visibile può essere individuato e ricondotto entro limiti ragionevoli, quando è necessario con l’aiuto della legge.

La forma più subdola e distruttiva del fenomeno di cui parliamo, però, è un’altra, quella “disciolta” nella quotidianità, una deriva piuttosto diffusa che si trasmette incessantemente, per contagio ambientale. È questa la faccia nascosta del razzismo, la più letale proprio perché, al riparo dal clamore e dal controllo sociale, può guadagnare proseliti con facilità.

Nei giorni scorsi, mentre alleggerivo il mio archivio dalle cartelle più vecchie, mi sono ritrovato per le mani quella intestata ad un’altra ragazzina, anch’essa sudamericana, anch’essa adottata, anch’essa mulatta. Mi è caduto lo sguardo su un ricordo d’infanzia, che avevo annotato perché mi era apparso molto significativo per le influenze che poteva avere esercitato nella formazione dello stile di vita di quella creatura. Lo stile di vita è il modo in cui tendiamo a muoverci nel mondo, prende forma nei primi anni della nostra esistenza e si alimenta soprattutto degli stimoli dell’ambiente, che ne è il principale contributore.

“Ero appena arrivata in Italia, avevo sei anni, sono entrata in un negozio coi miei nuovi genitori. Girovagavo, c’erano altre famiglie coi bambini, eppure la commessa era concentrata solo su di me, controllava continuamente cosa stessi facendo”.

Questa forma di razzismo è annidata in profondità, nella coscienza di un’infinità di donne e uomini, non di rado insospettabili, i suoi effetti sono pesanti e assai più grandi di ciò che si riesce a misurare, perché in genere nel conteggio entrano solo i casi che fanno rumore, frammento insignificante del totale. Quando investe un bambino in formazione, lo candida a delle sofferenze psicologiche prolungate, che possono assumere connotati passivi e autolesivi, come nel caso di questa ex bambina, oppure attivi, antisociali, perché a nessuno verrebbe in mente di contribuire al benessere di una collettività da cui si sente disprezzato.

Il vero razzismo non sempre possiede connotati vistosi, vive nascosto, ma scava le fondamenta come un fiume carsico, anche perché molti dei suoi attori sanno che si tratta di un comportamento socialmente riprovevole e se ne vergognano, ma solo fino a quando il livello di consenso, sovente coltivato dalla parte più cinica della politica, diventa talmente vasto da farlo sembrare legittimo, anzi persino auspicabile; quindi, si può esibire con minore circospezione.

Nella storia sono ancora presenti i danni colossali provocati dai politici che sugli istinti territoriali degli individui, vera radice del razzismo, costruiscono le proprie fortune. Agiscono, costoro, con gli stessi atteggiamenti melliflui che i pedofili utilizzano coi bambini, promettendoti affetto, protezione della tua persona, della tua casa, dei tuoi confini, contro il mondo cattivo. In cambio chiedono prezzi insostenibili, che pagheremo con pesanti deformazioni del nostro mondo interiore e delle comunità, poiché siamo una specie cooperativa che fuori da questo orizzonte si degrada e abbrutisce.

Il caso più clamoroso è costituito dal nazismo, la progressione con cui si è impossessato della società tedesca è descritta dal memorabile diario tenuto da Viktor Klemperer negli anni Trenta in Germania. Uscito in quel paese quarant’anni dopo, con il titolo “Testimoniare fino all’ultimo”, è il resoconto quotidiano di quei piccoli cambiamenti, talvolta impercettibili, che sommati tra di loro avrebbero apparecchiato la micidiale premessa che precipitò il Pianeta nell’abisso.

Klemperer, ebreo tedesco convertitosi presto al protestantesimo, combattè con onore nella Prima guerra mondiale, guadagnandosi anche delle onorificenze. A un certo punto percepì che la sua comunità diventa ogni ora più ostile, così cominciò ad annotare anche le minime virate nel comportamento dei connazionali, quelle che precedono a preparano la tempesta finale, dal bottegaio che non faceva più credito, all’artigiano che non aveva più tempo per le riparazioni, fino ai colleghi dell’università, di cui era il docente più illustre, che iniziano a trattarlo con immotivata freddezza.

Alla fine di quell’inarrestabile discesa verso gli inferi, il mondo esplose, cambiando per sempre il corso della sua storia, senza però avere creato i necessari anticorpi per evitare ricadute.

Quando Fabiola Gianotti, direttore del Cern di Ginevra, venne a Milano per raccontare ad una platea entusiasta, le fasi che pochi giorni prima avevano portato alla scoperta del Bosone di Higgs, nome del fisico britannico che molto tempo prima ne aveva teorizzato l’esistenza, avevo deciso di partecipare all’evento. Si trattava di una delle più grandi scoperte della storia dell’umanità.

Ebbene, la Gianotti ricordò che nella caccia al fantasma, fondamentale perché portatore della massa nell’universo, si erano impegnate presso l’acceleratore di particelle in Svizzera diecimila persone di ogni colore, provenienza, religione.

Una sublime azione corale in cui l’umanità celebrò il proprio genio, la propria tenacia, la propria uguaglianza. Ero uscito da quell’aula magna pensando che senza i processi cooperativi non esiste umanità e neppure civiltà, al loro posto solo il freddo e l’aridità tipici dei paesaggi senza vita, gli stessi che può apparecchiare il razzismo, seminando lutti e rovine.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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