M, come memoria, mare, migrazione ma anche musica e soprattutto Mediterraneo. Porto M è un museo che rende omaggio ai migranti e ai profughi attraverso gli oggetti recuperati dai barconi abbandonati ed è un teatro che mette in scena la tradizione popolare attraverso l’opera dei pupi
Porto M nasce per preservare la memoria e tramandare la tradizione di chi da questo lembo di terra, geologicamente appartenente al continente africano, transita, in fuga da un Sud del mondo sempre più povero, cercando di raggiungere i Paesi del nord e di chi invece, nel punto più a Sud d’Europa, torna o rimane. Un luogo di memoria, storia e di arte nato da un collettivo di ragazzi lampedusani, riuniti sotto il nome Askavusa e proseguito con l’associazione culturale Figli di Abele.
Li guida l’artista, cantautore e cantastorie Giacomo Sferlazzo, che al tema delle migrazioni e alle narrazioni della sua isola ha dedicato la sua intera discografia, fino al più recente lavoro dal titolo “Marinmenzu” che vuol dire "mare in mezzo", cioè tra i due continenti, africano ed europeo, ma può significare anche "mare immenso". Da questo disco è tratto il brano in sottofondo nella video intervista in cui Sferlazzo racconta l’esperienza di Porto M.
Gli oggetti dei migranti recuperati dai barconi
Due grotte scavate nella roccia che sovrasta il molo di Lampedusa sono diventate un museo e un teatro. Il museo conserva ed espone gli oggetti recuperati dalle barche dei migranti, ordinati, con cura, riposti sugli scaffali in base alla tipologia, al colore, sistemati con il rispetto di chi sa e vuol ricordare agli altri che dietro i numeri dei flussi migratori ci sono volti di persone e che tutti gli oggetti, che queste persone hanno portato con sé, raccontano storie vissute, con la paura, la speranza, la disperazione, la sopravvivenza di chi ha tentato la traversata sulla rotta migratoria più pericolosa al mondo e lo ha fatto semplicemente perché, per sopravvivere, non aveva altra scelta.
Un museo per raccontare i viaggi nel Mediterraneo
Ci sono monili, testi sacri, preghiere, documenti, abiti, bottiglie, borracce, foto sbiadite, lettere consumate, messaggi nella bottiglia, giubbotti salvagente, biberon, lattine, pacchi di pasta.
"Informare correttamente sui fenomeni migratori"
Sono oggetti che parlano; "oggetti con cui vogliamo non solo preservare la memoria” dice Giacomo Sferlazzo “ma anche tentare di scardinare le retoriche che ruotano attorno alle migrazioni e all'isola di Lampedusa, a partire da due questioni che durante gli incontri con i visitatori cerchiamo di fare emergere: la prima riguarda i motivi per cui le persone sono costrette a lasciare il proprio paese e la seconda è perché non possono viaggiare utilizzando canali d’ingresso regolari”.
Nel teatro di Porto M si mette in scena la tradizione popolare
Nella grotta accanto al museo degli oggetti dei migranti c’è un teatro con una piccola biblioteca. Si fa scuola di recitazione per i bambini e la sera la sala si riempie di visitatori che vogliono conoscere la storia dell'isola e lasciarsi ammaliare dall’opera dei pupi. Giacomo Sferlazzo mette in scena quelli che lui stesso definisce “spettacoli di narrazione per il recupero delle memorie dell’isola di Lampedusa”, con il modo di raccontare tipico della tradizione popolare siciliana. “Stiamo anche restaurando alcuni pupi con la collaborazione del teatro Carlo Magno di Enzo Mancuso a Palermo” mi dice Sferlazzo.
L'arte e la storia del Mediterraneo
Qui tutto trasuda storia, arte, passato e poesia. Attraverso le storie in musica, le cosiddette “cantate” si narrano gesta e leggende ambientate “in un Mediterraneo inteso come spazio culturale politico e geografico” in cui le storie delle migrazioni e le narrazioni popolari fanno parte di una unica memoria collettiva, in uno spazio in cui sono le frontiere e la politica a dividere popoli altrimenti uniti anche se separati dal mare.