Scuola, voti interi e frazionali. Forse è meglio aguzzare la vista

Cronaca

Domenico Barrilà

L'opinione dello psicoterapeuta sul dibattito che si è aperto nei giorni scorsi sulle valutazioni scolastiche

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Se vogliamo entrare nel dibattito, se mai esiste, sui voti interi e sui mezzi, che secondo qualche testata sarebbe materia di confronto alla vigilia dell’apertura della scuola, dobbiamo fare un passo indietro e ricordare a noi stessi che il programma di ogni vita, nessuna esclusa, è contare qualcosa per qualcuno. Un programma ancora più urgente quando si tratta di vita che muove i primi passi, perché a quell’altezza il giudizio esterno vale quanto l’universo intero.

Tale peso, enorme, trova la sua spiegazione in due ragioni che sono sotto i nostri occhi, a patto che si abbia voglia di vederle.

Prima ragione I bambini e i ragazzi, scolari e studenti, sono ancora segnati dalla percezione di inadeguatezza che ci portiamo dietro dalla nascita, e che inizia nell’attimo esatto in cu atterriamo in un mondo che ci sovrasta e ci mette in competizione con altri umani. Situazione del tutto diversa da quella vissuta nella pancia della mamma, quando godevamo uno statuto di esclusiva, in un ambiente mai così amico. Naturalmente non esistono memorie di quel tempo, si tratta però di una finzione cui tutti siamo affezionati e che possiede una sua ragionevolezza.

Seconda ragione. Bambini e ragazzi non possiedono strumenti di peso e di misura autonomi correttamente tarati, vuoi per inesperienza, vuoi per la forte incidenza del sentimento di inadeguatezza, di cui si diceva. Dunque, essi danno molta importanza ai giudizi che arrivano dall’esterno, soprattutto quando sono negativi, poiché suonano come conferma del timore di valere poco. Ciò significa che assegnare dei voti è un’operazione che richiede una grande onestà interiore, proprio perché si interagisce con una parte fragile dei ragazzi, per tale ragione occorre sempre tenere conto che il ricevente si sente valutato anche come persona, questo non deve spingere a una generosità ideologica, semmai aiutarci a tenere presente che non sempre il voto si ferma al registro, ma va a toccare angoli riposti del diretto interessato, oltre che attese familiari.

Ragionare di valutazione significa avere chiare tali premesse, altrimenti si tratta solo di aritmetica, tuttavia sono poco propenso a credere che la scuola abbia davvero voglia di discutere di mezzi voti, soprattutto se consideriamo che questi giorni, per tradizione, incarnano la fase più complicata dell’anno, quella dell’inizio, della spinta, quando di questioni da risolvere ne esistono in abbondanza, a cominciare dalla spinosa vicenda delle cattedre vuote, che spesso saranno assegnate perché devono essere assegnate, utilizzando criteri emergenziali.

Si parla di duecentomila vacanze in questo momento.

Il tema della valutazione rappresenta qualcosa di molto serio, non può essere una chiacchiera di fine estate, perché parla della natura profonda della scuola, del modo in cui essa percepisce i propri compiti ma, soprattutto, palesa la sua visione della personalità degli studenti, l’idea del ruolo che un cittadino è chiamato a recitare all’interno della collettività. Racconta di quali aspetti essa intende incoraggiare, di quali comportamenti intende frustrare, di quale percorso intende premiare, ma in genere ogni docente si arrangia a modo proprio.

Eppure, quando si parla di questioni che riguardano la scuola e i soggetti che la abitano, proprio per l’importanza del posto in gioco, bisognerebbe sempre muovere da una visione precisa, da molte visioni precise da mettere a confronto, altrimenti si improvvisa e si tira a indovinare, facendo male proprio a chi a scuola vive.

Tempo fa sono stato ospite di un dibattito presso l’asilo Sant’Elia di Como, la discussione verteva proprio sul progettista di quell’edificio, l’architetto Giuseppe Terragni, tra gli iniziatori del razionalismo italiano, di cui è forse il massimo esponente. Quell’uomo morì a 39 anni, 1943, a seguito di una trombosi cerebrale, probabile conseguenza degli stenti vissuti in Russia, dalla quale era tornato a conflitto ancora in corso.

Ero rimasto toccato dalla disposizione degli ambienti e degli spazi esterni, una totalità che sembrava seguire una chiara “curvatura” verso l’attività sociale. Quando l’architetto si era seduto al suo tavolo da lavoro, la sua matita era stata guidata, sfacciatamente direi, dalle finalità

sociali di quella costruzione. Siamo nel 1935, Maria Montessori era molto attiva nel periodo, potrebbe essere stata una remota fonte di ispirazione, comunque il luogo fu immaginato per dei piccoli cittadini che interagiscono, e che possono allenare costantemente la propria natura cooperativa. Questo significa avere una visione, giusta o sbagliata che sia.

È così che può avviarsi una riflessione sui voti e sui mezzi voti, in un confronto tra visioni della persona, tra ruoli della scuola. In assenza di buone piattaforme di partenza, non cambierei alcunché, continuerei a lasciare fare agli insegnanti, che quasi sempre usano i voti come “leve”, sebbene ognuno soggettivamente, talvolta prescindendo dal terreno sul quale cadono le loro valutazioni.

L’altro ieri, a Milano, due muratori stranieri si scambiavano impressioni sul lavoro in un italiano non perfetto ma piuttosto efficace. Mi sono rivolto a mia moglie, commentando con ammirazione la loro competenza linguistica. Se mettiamo a confronto la qualità del loro italiano e la mia rispetto all’inglese, e ci fermiamo alla pura capacità di farsi intendere o di cavarsela in un paese straniero, ne esco a pezzi, ma la mia inettitudine è ancora più grave se si considera la base di partenza, che in una valutazione onesta dovrebbe contare moltissimo.

A parità di “rendimento” io dovrei prendere un bel tre, senza mezzo voto di incoraggiamento, e quei ragazzi lavoratori, dal linguaggio naif ma in grado di raggiungere i loro simili, dieci e lode, senza voti frazionali.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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