Il figlio di una delle vittime si racconta a Sky Tg24 ripercorrendo la sua vicenda personale e giudiziaria: "Continuo a credere nella giustizia. Ci sono giudici che ci hanno ostacolato ma anche tanti giudici che ci hanno aiutato"
“Quella mattina come d’abitudine facemmo colazione assieme, mi abbracciò e mi disse di sbrigarmi dato che dovevo andare a scuola. Mio padre non stava tanto bene, aveva la febbre e quel giorno non voleva andare a Piazza Fontana” (LO SPECIALE).
Sono passati 50 anni ma i ricordi che accompagnano Carlo Arnoldi, figlio di Giovanni, agricoltore morto nella strage del 12 dicembre (FOTO), continuano ad essere nitidi. I ricordi di un papà modello che se ne è andato troppo presto, a 42 anni, lasciando una giovane moglie e due figli di 15 e 8 anni. Questo ci racconta Carlo Arnoldi che incontriamo poco prima dell’anniversario di Piazza Fontana".
Cosa ricorda di suo padre?
“Mio padre era un gran bravo padre ma era anche una brava persona. Era un sognatore: aveva un’azienda agricola ma il suo desiderio più grande era quello di avere un cinematografo tutto suo, dato che amava moltissimo i film. Proprio prima della presentazione di un film conobbe mia madre, si innamorarono e nacqui io. Quelli furono anni importanti per mio padre che alla fine riuscì a comprare e ad aprire un cinema a Magherno dove oggi abitiamo. Purtroppo, complice l’avvento della televisione, la situazione peggiorò e quando nacque mia sorella mio padre tornò a fare l’agricoltore”.
Per voi quelli sono stati anni molto difficili, ma il destino della sua famiglia è cambiato per sempre quel 12 dicembre di 50 anni fa
“Come ho detto, mio padre non stava bene e non voleva andare a Piazza Fontana. A convincerlo fu un agricoltore di Lodi che lo chiamò al telefono per un affare e lui, nelle vesti di mediatore, fu costretto ad andare. Così salutò mia madre e verso le 15 partì per Milano. Da quanto ricostruito entrò in banca alle 16.30, la bomba scoppiò 7 minuti piu’ tardi. Venni a sapere cosa era successo poche ore dopo da un amico di famiglia. All’inizio si era diffusa la voce dello scoppio di una caldaia, poi arrivò la notizia. Quella vera. Ad identificare mio padre fu mio zio che lo riconobbe da un paio di scarpe. Partimmo subito per Milano. Mia mamma ebbe un malore. Arrivammo di notte e non potemmo entrare all’obitorio. Fu una notte lunghissima. Il giorno dopo fu ancora peggio. Il ricordo più terribile è quello di averlo visto distrutto all’obitorio. Io stesso ho detto a mia madre di non entrare, volevo se lo ricordasse durante i tanti momenti belli che avevano passato assieme. E così è stato”.
La morte di suo padre, come racconta spesso, le ha cambiato la vita. Ma fra i tanti ricordi quello che l’ha resa determinata nel cercare la verità è stato il giorno dei funerali
“È stato proprio quel giorno che ho promesso a mio padre che avrei cercato verità e giustizia. Milano si era fermata per noi. Ed erano tutti lì in silenzio, un silenzio che più volte ho chiamato rumoroso. Eravamo in 300mila, tantissimi. Ricordo che entrammo in Duomo, arrivò il presidente del consiglio Mariano Rumor, ma con grande ritardo come peraltro tutte le autorità, il che mi diede davvero tanto fastidio. Alla fine abbracciò mia madre e allungò la mano verso di me ma io istintivamente non gliela diedi. Ho capito negli anni perché: non riuscivo a capacitarmi come un uomo di 42 anni entrasse in banca e ne uscisse distrutto”.
Proprio per questo motivo lei come tutti gli altri parenti delle vittime in questi anni avete chiesto verità e giustizia
“Sono stati anni lunghissimi e difficili ma c’è una data che non scorderò mai. Il processo in Cassazione nel 2005 quando fu affermato che la strage fu realizzata dalla cellula eversiva di Ordine Nuovo capitanata da Franco Freda e Giovanni Ventura non più processabili in quanto assolti con sentenza definitiva anni prima. Ignoti invece gli esecutori materiali. Ricordo che fummo anche condannati a pagare le spese processuali. Ci siamo sentiti sconfitti, ma solo per pochi minuti, poi ci siamo detti che una verità storica c’era anche se non c’era quella processuale. Io comunque continuo ad avere fiducia nella giustizia: dico sempre che ci sono stati tanti magistrati che ci hanno ostacolato ma anche tanti che ci hanno aiutato. Ed io questo non lo dimenticherò mai."
Ed è proprio per non dimenticare che lei ora è Presidente dell’Associazione Piazza Fontana che riunisce tutti i familiari delle vittime
"Andare nelle scuole, raccontare ai ragazzi quello che è successo vuol dire non solo raccontare la mia storia personale, ma vuol dire raccontare l’Italia. Quel giorno in piazza Fontana poteva esserci chiunque. Hanno colpito a caso per portare paura morte e terrore. Questo devono sapere i ragazzi."
Cinquant'anni dopo cosa rappresenta per voi Piazza Fontana?
"Dopo 50 anni non abbiamo voglia di avere un colpevole in carcere, ci interessa continuare a parlare, tramandare la memoria di quanto accaduto. Quello che ci dispiace è che i nostri morti siano considerati dei numeri: dietro questi numeri invece ci sono delle famiglie, dei valori, e questi valori devono essere ricordati per sempre."
Cosa direbbe oggi a suo padre?
Che mi manca tantissimo, mi manca ogni giorno di più...