Viaggio nel magazzino 18 di Trieste, l'antico scalo dove giacciono da settant'anni le masserizie degli esuli istriani, fiumani e dalmati
Volti senza nome. Ritratti conservati nel magazzino 18 di Trieste, l'antico scalo dove giacciono da settant'anni le masserizie degli esuli istriani, fiumani e dalmati. Padri e madri, fratelli e sorelle, parenti di altri volti senza nome. Quelli ripresi dai cineoperatori che seguirono l'esodo di Pola.
10 febbraio 1947
La tragica storia di 28 mila italiani che lasciarono in massa la città istiana il 10 febbraio 1947, nel giorno in cui l'Italia, firmando da sconfitta i trattati di Parigi, cedette le loro terre e le loro case alla Jugoslavia del Maresciallo Tito. Le immagini in bianco e nero documentano vite imballate in fretta e caricate sui carri diretti al porto. Vetrine infrante, finestre e porte lasciate spalancate. Perchè l'importante era partire e farlo subito. Per fuggire da una terra diventata straniera, per sfuggire a una pulizia etnica fatta di lapidazioni, deportazioni, foibe. Voragini carsiche dentro cui sparirono in migliaia, gettati vivi o morti legati a gruppi per i polsi col fil di ferro.
Magazzino 18, a Trieste
Da quelle tormentate terre partirono per sempre oltre 300 mila italiani. Chi potè, dissotterrò persino le bare, pur di portarsi via le ossa e le ceneri dei propri cari. In un viaggio senza ritorno, verso una patria uscita stremata dalla guerra che non li voleva. Perché insieme alle valigie si trascinavano, agli occhi di chi li vedeva arrivare, i fantasmi un regime fascista e delle sue persecuzioni. Per troppi di quegli esuli il sogno di ricostruirsi un focolare finì accatastato in questo magazzino del vecchio porto di Trieste. Un sogno fatto di mobili, sedie, stoviglie, reti da pesca, fotografie. Frammenti di vite perdute, rimaste in un deposito incrostato di salsedine e polvere. Diventato il monumento di una pagina di storia solo in parte ritrovata,che fa ancora male.