Facoltà a numero chiuso, tutto quello che c’è da sapere

Cronaca
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Da anni motivo di dibattito, l’accesso limitato è previsto a livello nazionale per alcuni corsi di laurea. I singoli atenei possono poi decidere se restringere l’ammissione ad altri corsi: per 4 su 10 c’è bisogno di superare un test d’ingresso

Il numero chiuso all’università è da anni motivo di dibattito: è giusto limitare l’ingresso a determinate facoltà, in modo da garantire un processo di selezione e una fruizione di aule e laboratori migliore, oppure va considerato come una compressione e violazione del diritto allo studio? Introdotto dalla legge 264 del 1999, il numero chiuso indica due modalità differenti di limitazione dell'acceso alle lauree universitarie: da un lato esistono corsi a posti limitati, stabiliti dal singolo ateneo, dall’altro facoltà ad "accesso programmato nazionale", regolamentate a livello statale.

I corsi ad accesso programmato nazionale

Come sottolinea il sito del Ministero dell’Istruzione, si parla di corsi ad "accesso programmato nazionale", per indirizzi di studio per i quali il numero dei posti disponibili viene comunicato a livello nazionale con un decreto del Ministero dell’Istruzione che ogni anno pubblica un bando di concorso. Rientrano in questo campo i test di Medicina, Medicina in inglese, Veterinaria, Architettura, Professioni Sanitarie e Scienze della formazione primaria.

Il ricorso a Milano contro il numero chiuso per le lauree umanistiche

Nei corsi di studio a numero programmato a livello locale, invece, sono i singoli atenei, in totale autonomia, che possono decidere di istituire un test di ammissione e, in questo modo, accogliere - per motivi interni e strutturali - solo un numero limitato di studenti per uno specifico corso di laurea. In questo caso, date e criteri relativi alle prove di ammissione sono fissate dai singoli atenei. È così possibile che uno stesso corso di laurea sia a numero chiuso in alcune università e ad accesso libero in altre. Ci sono stati casi in cui la decisione di limitare l'acceso a dei corsi ha creato polemiche, come in quello dell’università Statale di Milano, che l’anno scorso ha provato a inserire il numero chiuso per le lauree umanistiche. Una decisione che ha portato l'associazione studentesca Udu (Unione degli Universitari) a presentare ricorso e che il Tar ha bocciato perché considerata eccessiva e non giustificata. Lo stesso rettore della Statale ha deciso di fare retromarcia, non presentando ricorso al Consiglio di Stato.

Per 4 corsi su 10 bisogna superare un test d’ingresso

Secondo il rapporto sulla condizione studentesca del Consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu), i corsi a numero chiuso sono passati dai 919 del 2013 ai 972 del 2017. In pratica ormai un corso su cinque è a numero chiuso (il 21,9% dei 4.441 totali). Ma se si aggiungono anche i 720 ad accesso programmato a livello nazionale (il 16,2%), quelli totalmente liberi sono il 61,9%. Mentre per quattro su dieci c’è bisogno di superare un test d’ingresso.

La proposta di modifica nel contratto di governo

Di test d’ingresso si fa riferimento anche nel contratto di governo stipulato da Lega e Movimento 5 Stelle (IL TEST) quando, alla voce università, si annuncia "la revisione del sistema di accesso ai corsi a numero programmato", che si dovrebbe attuare "attraverso l'adozione di un modello che assicuri procedure idonee a verificare le effettive attitudini degli studenti e la possibilità di una corretta valutazione".

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