Aborto, legge 194 quarant'anni dopo

Cronaca

Francesca Cersosimo

Foto d'archivio: GettyImages

Il 22 maggio del 1978, veniva approvata la legge n.194 sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). L’aborto cessava d’essere un reato consumato negli scantinati o in ambulatori improvvisati. Ma l'obiezione di coscienza rende tutt'ora difficile la sua applicazione

Esattamente 40 anni fa, il 22 maggio del 1978, veniva approvata la legge n.194 sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). L’aborto cessava d’essere un reato consumato negli scantinati o in ambulatori improvvisati. Una legge di civiltà e di diritti come fu ribadito dalle forze politiche e sociali che la promossero. Una norma omicida e contro natura, per i suoi detrattori. La 194 infrangeva un tabù: decriminalizzava e disciplinava l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Sino ad allora l'aborto era un reato penale ma veniva effettuato in modo clandestino nell’ombra e il discrimine era il ceto sociale ed economico delle donne. La nuova legge metteva fine a questa piaga dilagante e disumana che tante vittime aveva fatto. La 194 dal titolo “norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, era frutto di un'aspra e a tratti violenta battaglia sociale, politica ed etica. A volere una legge che riconoscesse il diritto delle donne all'autodeterminazione furono soprattutto i radicali, appoggiati da altre forze politiche laiche e da diverse realtà sociali.

La norma, aspramente osteggiata e combattuta dai cattolici, fu poi confermata da un referendum il 17 maggio del 1981, con il 68% dei voti contrari all’abrogazione. Anche in questa occasione il paese fu lacerato e spaccato per mesi da una campagna referendaria furente dai toni apocalittici.

La 194, considerata una tra le migliori e più avanzate norme europee e non solo, prevede che la donna, nei casi previsti dalla legge, possa ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione. Tra il quarto e il quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.

Per questo “Stato, regioni ed enti locali devono supportare la donna” affinché la sua scelta sia una scelta consapevole e non obbligata e resa necessaria da altri fattori. Da qui lo sviluppo previsto – ma non sempre realizzato – di una rete capillare sul territorio di servizi socio-sanitari (i consultori) e di altre iniziative utili a far superare le cause che possono portare all'interruzione della gravidanza. Evitando che ignoranza e difficoltà economiche ne facciano un metodo contraccettivo.

La portata innovativa della legge è ancora oggi dirompente: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. Queste le linee fondanti della 194 che però ammonisce: “l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite”. Negli anni la battaglia sulla 194 non è mai scemata, tante sono state le polemiche e gli attacchi. Gli antiabortisti, secondo cui la vita umana è tale fin dal concepimento, sostengono che le donne ricorrano all'aborto come pratica contraccettiva e che le motivazioni siano, di fatto, frutto di egoismo e mancanza di responsabilità.

In ogni caso parlano i numeri: il trend del ricorso all’aborto è nettamente calato. Lo confermano i dati riportati nella Relazione del Ministro della salute del 2017 sulla attuazione della legge 194. Nel 2016 il numero di interruzioni di gravidanza volontarie è stato pari a 84.926. Per il terzo anno di seguito il numero totale è stato inferiore a 100.000, più che dimezzato rispetto ai 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia.

L’applicazione della legge negli ultimi anni però non ha avuto vita facile. Il ricorso all’obiezione di coscienza da parte di numerosi ginecologi sta infatti minando quello che è un diritto sancito alla legge. I ginecologi obiettori sono passati dal 58,7 per cento del 2005, al 70,9 per cento del 2016, con un graduale ma costante aumento negli anni. Sono obiettori soprattutto i medici più giovani. Incremento anche tra gli anestesisti obiettori: più 1,3 per cento, passando dal 47,5 al 48,8 per cento.

L’11 aprile 2016, il Comitato europeo dei diritti sociali, del Consiglio d’Europa, ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla salute delle donne che vogliono abortire, poiché esse incontrano “notevoli difficoltà” nell’accesso ai servizi d’Ivg. Secondo la Libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione della 194 (Laiga), nel 2017 solo il 59% degli ospedali italiani prevede il servizio di IVG, in particolare per quanto riguarda i casi successivi al terzo mese. Il 41% degli ospedali italiani sarebbe pertanto non in conformità con quanto previsto dalla legge 194. L’obiezione di coscienza investe ormai anche la prescrizione per la pillola del giorno la RU-486, autorizzata nel 2009, che prevede un IVG farmacologica e non invasiva. Insomma una legge dello stato per nulla scontata per le nuove generazioni e che scatena ancora guerre di religione.

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