Il lavoro in Italia, tra ripresa e stagnazione

Cronaca

Francesca Smacchia

Il nuovo lavoro tra complessità e opportunità in un Paese che è tornato a crescere ma che deve fare ancora i conti con la crisi del passato

Verrebbe da dire che il nostro non sia un Paese di lavoratori. Il paradosso prende forma a Trebaseleghe, in provincia di Padova. Lì un titolare di azienda, la stamperia Grafica Veneta, vuole assumere 25 operai a 1.300 euro al mese, ma si presentano in pochi. “Nessuno vuole lavorare su turni e nei festivi” grida il proprietario. Salvo poi, dopo la diffusione sui quotidiani, vedersi recapitare una pioggia di curricula. Può sembrare un esempio isolato.

Ripresa lenta ma certificata dai dati

Eppure non è così. In Italia c’è una ripresa economica, lenta ma certificata dai dati. Per citarne qualcuno: l’Istat registra, ad esempio, l’andamento positivo delle esportazioni italiane nel 2017 rispetto al 2016, +7,4%. Mentre sempre nel 2017 il Prodotto interno lordo del nostro Paese è cresciuto dell’1,5%. Per dirla con il ministro dell’economia Padoan, “lasciamo al prossimo Parlamento conti pubblici in ordine e la crescita in linea con il periodo ante-crisi”.

La spinta del triangolo industriale

Ma la crescita economica si traduce in più crescita sociale? L’Italia ce la sta mettendo tutta, dopo anni di recessione e ansie sociali, una nuova stagione si è avviata. Basti pensare alla nuova spinta del triangolo industriale Milano-Padova- Bologna che ha aumentato il fatturato, rispetto al 2008, del 30-40%. Certo è che, accanto a questo cuore tecnologico che pulsa e si sviluppa, ce n’è un altro che fa fatica a battere: la gig-economy, ovvero tutta quella serie di lavoretti, con salari miseri e diritti spesso calpestati. Un esempio su tutti, i riders, i fattorini del cibo in bicicletta, e le loro proteste per vedersi riconoscere lo status di lavoratori subordinati. Un percorso che alterna dati positivi del presente a complessità strutturali del passato.

 

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