Dieci anni senza Welby, e l'Italia è ancora senza legge sull'eutanasia

Cronaca

Pietro Pruneddu

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Il 20 dicembre 2006 moriva il giornalista e attivista. La sua battaglia per il diritto al fine vita ha diviso l’opinione pubblica e aperto un acceso dibattito politico e etico. Ma a distanza di un decennio il vuoto legislativo in materia non è ancora stato colmato

La sera del 20 dicembre 2006, in una stanza romana riempita dalle note di Bob Dylan, il cuore di Piergiorgio Welby smetteva di battere. Inchiodato a letto, consumato da una distrofia muscolare, aveva 60 anni. La sua vicenda ha scatenato uno dei più accesi dibattiti politici ed etici sui temi del fine vita e dei diritti personali di autodeterminazione. Il vuoto legislativo in materia, però, a 10 anni dalla sua morte, non è ancora stato colmato in Italia. 

 

Chi era Welby - Giornalista, attivista del Partito Radicale, artista. Piergiorgio Welby era affetto da distrofia muscolare dall’età di 16 anni. Prima smise di camminare, poi di parlare, infine nella fase terminale si ritrovò intrappolato in un corpo che non rispondeva più. Lo chiamava “la mia prigione infame” paragonando la sua costrizione a quella di Aldo Moro rinchiuso nel covo delle Br. Dal 1997, in seguito a una crisi respiratoria, era attaccato a un respiratore artificiale che ne garantiva la sopravvivenza. Scelta che non accettò mai, al punto di chiedere più volte che gli “venisse staccata la spina”. Nel settembre 2006 scrisse al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendo il riconoscimento del diritto all’eutanasia (LA LETTERA). 

 

Il 16 dicembre il tribunale di Roma respinse la richiesta dei legali di Welby di porre fine a quello che definivano accanimento terapeutico, dichiarandola “inammissibile” a causa del vuoto legislativo in materia. Il 20 dicembre 2006 venne sedato e gli fu staccato il respiratore. Il dottor Mario Riccio, anestesista, il giorno seguente spiegò di averlo aiutato a morire. Il Vicariato di Roma non concesse i funerali religiosi motivando che “era nota la sua volontà di porre fine alla propria vita e ciò contrasta con la dottrina cattolica”. Una cerimonia laica si svolse il 24 dicembre nel quartiere Tuscolano a Roma, proprio davanti alla chiesa negata ai familiari per la messa.

 

Nel 2007 l’Ordine dei medici di Cremona ha riconosciuto che il dottor Riccio agì nella piena legittimità etica e professionale, chiudendo la procedura aperta nei suoi confronti. Intanto il gip chiese di imputare il medico per omicidio del consenziente ma a luglio 2007 il Gup di Roma Zaira Secchi prosciolse definitivamente l’anestesista ordinando il non luogo a procedere perché “il fatto non costituisce reato”.

 

Cosa è l'eutanasia - Il termine deriva dal greco e significa “buona morte”. Significa procurare la morte di una persona consenziente, malata o menomata in modo irreversibile. Non esiste una classificazione univoca dei vari tipi di eutanasia ma in ambito medico e legale si tende a distinguerne diversi tipi: quella attiva diretta, che prevede la somministrazione di farmaci che inducono la morte, e quella attiva indiretta con l’uso si sostanze che alleviano il dolore e come effetto causano il decesso. E, infine, l’eutanasia passiva, in cui viene interrotto un trattamento medico fondamentale per la sopravvivenza del paziente (ad esempio la nutrizione o l’idratazione artificiale). Infine c’è il suicidio assistito, in cui il medico aiuta il paziente dandogli i mezzi per porre fine alla propria vita senza intervenire direttamente.

 

La situazione giuridica in Italia - L’eutanasia e il suicidio assistito sono illegali nel nostro Paese. Quella attiva viene assimilata all’omicidio volontario o all’omicidio del consenziente con pene dai 6 ai 15 anni. Per il suicidio assistito si configurano i reati di istigazione o aiuto al suicidio puniti con reclusione da 5 a 12 anni. Allo stesso tempo però, la sospensione delle cure, cioè il principio su cui si basa l’eutanasia passiva, è considerata un diritto inviolabile in base all’articolo 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”). Principio che è anche alla base del proscioglimento del dottor Riccio nella vicenda Welby. Inoltre, la terapia del dolore, le cure palliative e il rifiuto dell’accanimento terapeutico non sono considerate eutanasia.

 

I casi più controversi - La vicenda di Piergiorgio Welby, per la prima volta ha fatto emergere la mancanza di un quadro legislativo chiaro in materia. In Italia il dibattito sul fine vita è legato ad alcuni casi emblematici. Uno dei primi episodi che ha smosso l’opinione pubblica risale al 1998. Ezio Forzatti staccò il respiratore della moglie Elena Moroni, 46enne che si trovava in coma irreversibile. Dopo una condanna fu assolto in appello perché i giudici considerarono la donna clinicamente morta al momento del distacco dell’apparecchio. 

 

Il caso di Eluana Englaro ha avuto enormi ripercussioni anche politiche. La giovane era in stato vegetativo dal 1992 dopo un incidente stradale. Una vicenda giudiziaria lunghissima seguì la richiesta del padre di sospendere ogni terapia. Infine la Corte di Appello di Milano e la Cassazione autorizzarono l’interruzione del sostegno vitale. La donna morì nel febbraio 2009 in una clinica di Udine. Due anni prima ci fu invece il caso di Giovanni Nuvoli, malato di SLA e totalmente paralizzato. Di fronte ai tanti rifiuti alla sua richiesta di staccare il respiratore, impedite anche dai carabinieri, Nuvoli iniziò uno sciopero della fame che lo portò alla morte in una settimana

 

L’ultima vicenda risale a poche settimane fa. Walter Piludu, ex presidente della provincia di Cagliari, da anni malato di SLA, aveva redatto un testamento biologico con le proprie volontà sul fine vita. Nel 2016 ha chiesto alla Asl il distacco dal respiratore e la sedazione. Il tribunale di Cagliari ha accolto la richiesta stabilendo che la responsabilità di garantire una fine dignitosa è in capo al Servizio Sanitario Nazionale. Piludu è morto il 3 novembre dopo il consenso della magistratura

 

L’iter legislativo in Italia - A dieci anni dalla morte di Welby in Italia manca ancora una legge sul fine vita. La prima proposta di legge risale al 1984. Più di 10 gli abbozzi bipartisan finiti nel dimenticatoio. Nel settembre 2013 una proposta di iniziativa popolare, voluta dall’Associazione Coscioni e firmata ad oggi da più di 100 mila persone, è stata depositata alla Camera. I punti chiave sono la depenalizzazione del reato di eutanasia volontaria, richiesta da paziente maggiorenne con malattia incurabile e bassa aspettativa di vita. Il 3 marzo 2016 nelle Commissioni Giustizia e Affari Sociali, è iniziata la discussione della proposta Coscioni e di altre cinque bozze di legge che andranno a costituire un testo unificato. Per la prima volta nella storia parlamentare è stato dibattuto il tema dell’eutanasia. Ma in 9 mesi quella è stata l’unica riunione. 

 

La necessità di una legge in materia trapela anche dai dati dell’Eurispes. Nel “Rapporto Italia 2016”, il 60% degli italiani si è detto favorevole a una legislazione sul tema. Sul testamento biologico l’iter è stato più veloce. Il provvedimento sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, che univa 13 diversi ddl, è già stato approvato dalla Commissione Affari Sociali.

 

L'eutanasia nel resto del mondo - Il quadro legislativo sul fine vita è molto eterogeneo. L’Olanda, nel 2002, è stata la prima nazione al mondo a dotarsi di una legge che regolamenta l’eutanasia, applicabile a malati terminali, persone affette da patologie incurabili o sofferenze psicologiche gravi. L’interruzione di vita è ammessa dai 12 anni in su, ma fino ai 16 è necessario il consenso dei genitori. La pratica è attuabile anche per i neonati. Nel 2015 circa 15mila persone, il 3,9% dei decessi registrati nel Paese, hanno fatto ricorso all'eutanasia o al suicidio assistito. A ottobre 2016 i ministri olandesi della Salute e della Giustizia hanno illustrato in Parlamento una proposta di legge per consentire la morte assistita anche per “chi ritiene di aver completato il proprio ciclo vitale”, dunque anche persone non malate.

 

In Belgio il ricorso all’eutanasia è legale dal 2002 mentre dal 2014, unico Paese al mondo, è consentita anche sui minori senza limiti di età. Lo scorso settembre si è verificato il primo caso di “dolce morte” su un 17enne malato terminale “che soffriva di dolori insopportabili”. L’eutanasia attiva dal 2009  è legale anche in Lussemburgo, quella passiva invece non è perseguita penalmente in Francia, Germania, Spagna. In diversi Paesi, tra cui Svezia e Svizzera, si può praticare il suicidio assistito. Decine di italiani, come il giornalista e politico Lucio Magri, si sono rivolti proprio alle apposite strutture elvetiche. L’Associazione Exit Italia ha dichiarato di ricevere “90 richieste al mese” di persone che vogliono andare in Svizzera per ottenere il suicidio assistito. Nel resto del mondo, forme di eutanasia sono ammesse in Colombia, Giappone, Canada e in alcuni Stati degli Usa: Oregon, Vermont, Washington, California e Montana.

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