Il 1992 al Festival di Perugia: tra critiche e nostalgia

Cronaca

Roberto Tallei

Gli attori che interpretano il pool di Mani Pulite nella serie 1992 in onda su Sky Atalntic Hd
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Mentre prosegue la serie tv prodotta da Sky, i cronisti che raccontarono Mani Pulite rievocano quei mesi: il clima di euforia e conformismo, e le aspettative che accompagnarono le inchieste del Pool

Sul palco quelli per cui il 1992 è un pezzo di vita vissuta, personale e professionale. In platea tanti giovani e giovanissimi, per i quali Tangentopoli rappresenta più che altro una pagina di storia contemporanea del nostro Paese.
Cronisti e ragazzi a confronto, al Festival internazionale del giornalismo di Perugia, prendendo spunto dalla serie tv trasmessa da Sky e arrivando fino alla cronaca delle inchieste di oggi sulla corruzione.
A chiedersi perché tutto doveva cambiare, ma poi alla fine nulla è cambiato.

Le differenze con oggi - Dal dibattito al teatro Sapienza, moderato da Maria Latella con i giornalisti Goffredo Buccini, Liana Milella e Bruno Manfellotto, insieme al creatore di 1992 Alessandro Fabbri, sembra per la verità che la situazione si sia persino aggravata.
Se infatti nel 1992 – come dice nella fiction l’attore che interpreta Marcello Dell’Utri – “non si può fare business senza la politica”, oggi – sottolinea Buccini – non si può fare politica senza il business.
E se negli anni di Tangentopoli bastava un avviso di garanzia per far dimettere un politico, oggi neppure una sentenza di Cassazione o la legge Severino convince a fare un passo indietro. Anche perché negli anni il sistema ha promosso metodi che consentono di corrompere “a norma di legge” (lo stesso Buccini cita i casi del Mose e della legge obiettivo del 2001), mentre si fa fatica ad approvare un serio testo anticorruzione.

Grandi attese - Gli anni di Tangentopoli sono stati però anche un periodo straordinariamente stimolante per chi fa il mestiere di giornalista. Anni frenetici in cui la “Milano da bere” si trasformò in una città cupa, con i ristoranti di lusso improvvisamente svuotati, i potenti nell’angosciosa attesa del proprio turno in Procura e un settimanale come L’Espresso che – tra il serio e il faceto – pubblicava il “manuale del detenuto”, con i consigli pratici per affrontare il carcere.
Giorni in cui all’adrenalina per una stagione nuova che sembrava iniziare si mescolavano dolori privati come i suicidi eccellenti e drammi pubblici come le stragi di mafia. Erano tempi in cui i direttori di giornali facevano la fila per andare a cena con i magistrati, divenuti nuovi e unici punti di riferimento dell’opinione pubblica.

Le autocritiche - Oggi però, guardando indietro, non mancano le autocritiche. Probabilmente travolti dalle notizie, spesso i giornalisti smisero infatti di farsi e di fare delle domande. Perché – a dirla con le parole di Liana Milella – si rincorreva troppo la cronaca quotidiana e non si è stati dunque capaci di andare oltre. Una sorta di euforia collettiva che, secondo Bruno Manfellotto, ha portato la stampa italiana a cavalcare l’onda eccessivamente, seppure in buona fede. In fondo ai tempi di Tangentopoli si respirava davvero una sensazione particolare, come se una enorme rivoluzione fosse alle porte, come se l’Italia potesse davvero diventare un Paese diverso.
Quella percezione dell’inizio di un cambiamento epocale che lo stesso Fabbri racconta di aver voluto fortemente raccontare all’interno della serie. E forse la differenza tra ieri e oggi è tutta qui. Perché quando Maria Latella chiede in sala se – di fronte alle odierne notizie di corruzione – si respira anche adesso uno stato d’animo collettivo di imminente cambiamento politico alle porte, dal pubblico si alza una sola mano e tutte le altre restano giù. Ieri la rivoluzione, oggi la rassegnazione. Gli italiani non ci credono più.

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