Il Tribunale di sorveglianza ha accolto la richiesta dei legali della donna condannata a 16 anni per l'omicidio del figlio Samuele nel gennaio 2002. Nel pomeriggio ha lasciato il carcere per andare a casa. Non potrà recarsi a Cogne
Anna Maria Franzoni lascia il carcere e sconterà la sua pena a casa, ma senza poter tornare a Cogne. E' l'effetto dell'ordinanza con la quale il tribunale di sorveglianza di Bologna ha accolto la richiesta di detenzione domiciliare avanzata dai legali della donna condannata a 16 anni per l'omicidio del figlioletto Samuele, avvenuto a Cogne nel gennaio 2002.
Determinante ai fini della decisione l'integrazione alla perizia psichiatrica che esclude il rischio di recidiva, risultato pari - dopo numerosi test - a quello che può essere riscontrato in un qualunque altro cittadino. Il provvedimento dei giudici è immediatamente esecutivo: la "mamma di Cogne" ha lasciato la casa circondariale della Dozza, dove era detenuta dal 2008, poco dopo le 16, a bordo di un'auto della parrocchia di don Nicolini dove ha sede la cooperativa sociale in cui era stata ammessa al lavoro esterno. Era seduta sul lato passeggero della vettura (che procedeva a velocità sostenuta), chinata per non essere ripresa dalle telecamere o fotografata: dopo una normale mattinata di lavoro come sarta, era tornata alla casa circondariale intorno alle 14,30 e una volta esaurite le pratiche burocratiche del caso è partita per Santa Cristina di Ripoli, sull'Appennino bolognese, dove è stata accolta dal marito ed dai due figli. "E' felice, ci sperava molto come tutti noi", ha ammesso l'avvocato Paola Savio, suo difensore di fiducia.
Nell'ammissione alla detenzione domiciliare, sottolineano fonti qualificate, non è necessaria la confessione del reato commesso. Per i magistrati di sorveglianza , la "capacità genitoriale" della donna è intatta. Nel corso della sua storia carceraria ha manifestato "una costante preoccupazione per i figli che erano abituati alla sua costante presenza": la Franzoni "si è posta il problema di conciliare il ruolo di madre con i vincoli detentivi e così ha cercato in ogni modo di garantire ai figli la propria presenza e di seguire da vicino i loro cambiamenti evolutivi".
Anche "il lavoro in carcere è stato motivo di stimolo per porsi in relazione con le altre detenute" e "lo stato ansioso-depressivo della donna è stato soltanto in parte contenuto con l'assunzione di farmaci ed il sostegno psicologico, in quanto il pensiero è costantemente rivolto alla famiglia". Famiglia rivelatasi nella sua coesione e nella sua compattezza una "struttura di protezione, aiuto e supporto". Tematiche ricorrenti affrontate sono state quelle della "ferma volontà della detenuta di esternare la propria innocenza rispetto al reato e, soprattutto - scrivono i giudici - l'immenso dolore per la lontananza dei due figli e del marito, fulcro della propria esistenza". Nella perizia, redatta dal professore Augusto Balloni, si parlava di una residuale pericolosità sociale (non specifica ma generica) che può comunque essere contenuta grazie all'apporto della famiglia e con una terapia psichiatrica di sostegno.
L'ordinanza prevede espressamente l'obbligo di "non allontanarsi dal territorio della provincia di Bologna e, quindi, di recarsi in altre zone del territorio nazionale" (con "particolare riferimento" a Cogne) ma oltre che per eventuali cure mediche la condannata potrà lasciare il proprio domicilio ogni giorno per 4 ore, "da concordare con l'autorità di vigilanza, nell'ambito della provincia al fine di soddisfare esigenze di vita legate esclusivamente alla gestione del nucleo familiare". Per Anna Maria Franzoni, inoltre, i giudici hanno stabilito l'obbligo di recarsi "una volta a settimana a Bologna per esigenze legate all'attività lavorativa".
Determinante ai fini della decisione l'integrazione alla perizia psichiatrica che esclude il rischio di recidiva, risultato pari - dopo numerosi test - a quello che può essere riscontrato in un qualunque altro cittadino. Il provvedimento dei giudici è immediatamente esecutivo: la "mamma di Cogne" ha lasciato la casa circondariale della Dozza, dove era detenuta dal 2008, poco dopo le 16, a bordo di un'auto della parrocchia di don Nicolini dove ha sede la cooperativa sociale in cui era stata ammessa al lavoro esterno. Era seduta sul lato passeggero della vettura (che procedeva a velocità sostenuta), chinata per non essere ripresa dalle telecamere o fotografata: dopo una normale mattinata di lavoro come sarta, era tornata alla casa circondariale intorno alle 14,30 e una volta esaurite le pratiche burocratiche del caso è partita per Santa Cristina di Ripoli, sull'Appennino bolognese, dove è stata accolta dal marito ed dai due figli. "E' felice, ci sperava molto come tutti noi", ha ammesso l'avvocato Paola Savio, suo difensore di fiducia.
Nell'ammissione alla detenzione domiciliare, sottolineano fonti qualificate, non è necessaria la confessione del reato commesso. Per i magistrati di sorveglianza , la "capacità genitoriale" della donna è intatta. Nel corso della sua storia carceraria ha manifestato "una costante preoccupazione per i figli che erano abituati alla sua costante presenza": la Franzoni "si è posta il problema di conciliare il ruolo di madre con i vincoli detentivi e così ha cercato in ogni modo di garantire ai figli la propria presenza e di seguire da vicino i loro cambiamenti evolutivi".
Anche "il lavoro in carcere è stato motivo di stimolo per porsi in relazione con le altre detenute" e "lo stato ansioso-depressivo della donna è stato soltanto in parte contenuto con l'assunzione di farmaci ed il sostegno psicologico, in quanto il pensiero è costantemente rivolto alla famiglia". Famiglia rivelatasi nella sua coesione e nella sua compattezza una "struttura di protezione, aiuto e supporto". Tematiche ricorrenti affrontate sono state quelle della "ferma volontà della detenuta di esternare la propria innocenza rispetto al reato e, soprattutto - scrivono i giudici - l'immenso dolore per la lontananza dei due figli e del marito, fulcro della propria esistenza". Nella perizia, redatta dal professore Augusto Balloni, si parlava di una residuale pericolosità sociale (non specifica ma generica) che può comunque essere contenuta grazie all'apporto della famiglia e con una terapia psichiatrica di sostegno.
L'ordinanza prevede espressamente l'obbligo di "non allontanarsi dal territorio della provincia di Bologna e, quindi, di recarsi in altre zone del territorio nazionale" (con "particolare riferimento" a Cogne) ma oltre che per eventuali cure mediche la condannata potrà lasciare il proprio domicilio ogni giorno per 4 ore, "da concordare con l'autorità di vigilanza, nell'ambito della provincia al fine di soddisfare esigenze di vita legate esclusivamente alla gestione del nucleo familiare". Per Anna Maria Franzoni, inoltre, i giudici hanno stabilito l'obbligo di recarsi "una volta a settimana a Bologna per esigenze legate all'attività lavorativa".