Il presidente della Repubblica ha indirizzato una lettera per sottolineare che “sarebbe ben lieto di dare, ove ne fosse in grado, un utile contributo all'accertamento della verità processuale”. Ma ammette: “Le mie conoscenze sono limitate”
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha indirizzato una lettera al Presidente della Corte d'Assise di Palermo con la quale ha sottolineato che sarebbe ben lieto di dare, ove ne fosse in grado, un utile contributo all'accertamento della verità processuale, indipendentemente dalle riserve sulla costituzionalità dell'art. 205, comma 1, del codice di procedura penale espresse dai suoi predecessori. Il Presidente ha nello stesso tempo esposto alla Corte i limiti delle sue reali conoscenze in relazione al capitolo di prova testimoniale ammesso.
La testimonianza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel processo sulla trattativa Stato-mafia sarà limitata esclusivamente alle "preoccupazioni" espresse dal suo consigliere giuridico del Quirinale, Loris D'Ambrosio, scomparso un anno fa, in una lettera del 18 giugno del 2012. Sono questi i paletti fissati dalla Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, nell'ordinanza con la quale il 17 ottobre scorso ha ammesso la testimonianza del capo dello Stato, uno dei 177 testi dei quali la Procura ha chiesto la citazione. Nella lettera, D'Ambrosio accennava a "episodi del periodo 1989-1993" e manifestava il suo "timore di essere stato considerato un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi".
La Corte palermitana si era richiamata espressamente alla sentenza della Consulta che aveva accolto il ricorso sollevato dal Quirinale per conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo, circa la distruzione delle intercettazioni di conversazioni telefoniche di Napolitano con l'ex ministro Nicola Mancino. "La testimonianza del Presidente della Repubblica è espressamente prevista dall'art. 205 del codice di procedura penale che disciplina, infatti, le modalità della sua assunzione", scriveva la Corte nell'ordinanza, e puntualizzava: "Tuttavia, deve tenersi conto dei limiti contenutistici che si ricavano dalla sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012 e, pertanto, la testimonianza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano richiesta dal pm può essere ammessa nei soli limiti delle conoscenze del detto teste che, secondo quanto è dato rilevare dalla lettura dell'articolato di prova anche sotto il profilo temporale, potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali, pur comprendendovi in esse le “attività informali”, comunque coessenziali alle prime e coperte da riservatezza di rilievo costituzionale secondo quanto si ricava dalla sentenza citata".
La testimonianza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel processo sulla trattativa Stato-mafia sarà limitata esclusivamente alle "preoccupazioni" espresse dal suo consigliere giuridico del Quirinale, Loris D'Ambrosio, scomparso un anno fa, in una lettera del 18 giugno del 2012. Sono questi i paletti fissati dalla Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, nell'ordinanza con la quale il 17 ottobre scorso ha ammesso la testimonianza del capo dello Stato, uno dei 177 testi dei quali la Procura ha chiesto la citazione. Nella lettera, D'Ambrosio accennava a "episodi del periodo 1989-1993" e manifestava il suo "timore di essere stato considerato un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi".
La Corte palermitana si era richiamata espressamente alla sentenza della Consulta che aveva accolto il ricorso sollevato dal Quirinale per conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo, circa la distruzione delle intercettazioni di conversazioni telefoniche di Napolitano con l'ex ministro Nicola Mancino. "La testimonianza del Presidente della Repubblica è espressamente prevista dall'art. 205 del codice di procedura penale che disciplina, infatti, le modalità della sua assunzione", scriveva la Corte nell'ordinanza, e puntualizzava: "Tuttavia, deve tenersi conto dei limiti contenutistici che si ricavano dalla sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012 e, pertanto, la testimonianza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano richiesta dal pm può essere ammessa nei soli limiti delle conoscenze del detto teste che, secondo quanto è dato rilevare dalla lettura dell'articolato di prova anche sotto il profilo temporale, potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali, pur comprendendovi in esse le “attività informali”, comunque coessenziali alle prime e coperte da riservatezza di rilievo costituzionale secondo quanto si ricava dalla sentenza citata".