Sequestro Spinelli, il capo banda collabora con i pm

Cronaca
Francesco Leone uno degli italiani arrestati per il sequestro lampo e ricatto a Giuseppe Spinelli, il ragioniere di Silvio Berlusconi, a Milano 19 novembre 2012

Francesco Leone, il pregiudicato barese ritenuto il leader del gruppo che ha sequestrato il tesoriere di Berlusconi e la moglie, è stato interrogato per circa mezz'ora e ha risposto alle domande. L'interrogatorio è stato secretato

Cominciano a riempire i primi verbali alcuni dei 'protagonisti' del sequestro-lampo del tesoriere di Silvio Berlusconi, il ragioniere Giuseppe Spinelli. Parole che potrebbero essere utili ai magistrati per chiarire alcuni dubbi sulla vicenda, che continua ad avere contorni da 'giallo', e in particolare sul versamento o meno ai sequestratori di una somma di denaro o su quelle carte e su quelle registrazioni che, stando al racconto del manager di fiducia dell'ex premier, la banda sosteneva di avere in mano e voleva offrire in cambio di 35 milioni di euro all'ex presidente del Consiglio.

Collabora coi pm il capo banda - Il passo in avanti più importante è arrivato dal pregiudicato barese ed ex pentito della criminalità organizzata pugliese, Francesco Leone, il presunto capo del gruppo, che dopo essere rimasto in silenzio davanti al gip Paola Di Lorenzo nell'interrogatorio di garanzia, ha iniziato a collaborare con il procuratore aggiunto della Dda milanese, Ilda Boccassini, e con il pm Paolo Storari. Mezz'ora circa di interrogatorio in Procura, assistito dall'avvocato Antonio Pirolozzi, nel quale gli inquirenti avrebbero chiesto conto a Leone - noto ormai per le sue scarpe 'rossonere' (uno dei particolari che ha portato gli investigatori ad individuarlo) - sia dei soldi di cui si parla in molte intercettazioni ("8 milioni di euro") che dell'esistenza o meno di quei documenti "scottanti" sulla vicenda Lodo Mondadori o magari di altre 'armi' di ricatto. Un faccia a faccia preliminare che potrebbe preludere a un'altra convocazione nei prossimi giorni davanti ai pm per fornire risposte utili alle indagini, che puntano soprattutto in questa fase ad accertare se la banda sia riuscita a spostare soldi, magari "parte del riscatto" come ipotizzano i pm, in Svizzera.

Telefonate intercettate e il giallo dei soldi - E' Leone infatti che, secondo i magistrati, "a partire dal 9 novembre" scorso (il sequestro è avvenuto tra il 15 e il 16 ottobre) dimostra nelle telefonate intercettate "tutto il suo interesse per lo spostamento di una grossa somma di denaro da cassette di sicurezza" riconducibili a Alessio Maier, pregiudicato nato a Como ma residente nel Varesotto, "ad un rifugio più sicuro presso una Banca Svizzera". E anche Maier, che mercoledì 21 novembre si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip (così come l'altro arrestato italiano, Pierluigi Tranquilli), si troverà a breve davanti ai pm. L'interrogatorio è fissato per venerdì 23 e, come ha chiarito l'avvocato Lorenzo Di Gaetano, Maier, dopo aver letto le carte dell'inchiesta, "fornirà la sua versione dei fatti, dopo aver preso atto di quella data dai magistrati".
L'insistenza nelle telefonate intercettate sull'argomento 'soldi' è un punto chiave su cui stanno lavorando gli inquirenti e gli investigatori della sezione di polizia giudiziaria e della squadra mobile. "La mia famiglia, la mia azienda e tutti i nostri sacrifici sono nelle tue mani. Non ti dico più niente frate"', scrive in un sms intercettato Tranquilli a Leone, preoccupato degli esiti dell'operazione di "trasferimento - come scrive il gip - in Svizzera del denaro".

Un "buco di 31 ore" - E un altro aspetto da vagliare per gli inquirenti è quel 'buco' di 31 ore che passano tra la mattina del 16 ottobre quando il ragioniere e la moglie vengono liberati e il pomeriggio del giorno successivo quando il fax di denuncia arriva in Procura. L'avvocato Niccolò Ghedini sul punto è stato categorico: nessuna somma di denaro è stata pagata, non c'è stata alcuna trattativa e il ritardo è legato al timore di ritorsioni che aveva Spinelli.
Intanto, gli albanesi detenuti a San Vittore hanno scelto tutti di rispondere alle domande del gip. Sono quei tre presunti complici che avrebbero avuto un ruolo "meramente operativo" e che, stando alle intercettazioni dell'inchiesta, sempre ai primi di novembre sembravano molto interessati "ad incassare il compenso" per il loro contributo all'azione. Uno dei tre, Marjus Anuta, come ha spiegato l'avvocato Maria Pia Licata, "sta collaborando con i magistrati e per quanto riguarda la sua posizione e il suo ruolo marginale ha detto tutto quel che sa".

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