Da "Big Babol" a "caffè": tra indagini e parole in codice

Cronaca

L'ultimo caso riguarda l’inchiesta su appalti e rifiuti in Regione Lombardia. Una donna avrebbe chiamato le banconote da 500 euro come le chewing-gum. Ma la letteratura della indagini è ricca di parole cifrate. Soprattutto quando si tratta di droga

di Alberto Giuffrè

"Frutta", "caffè", "mozzarella", "gamberoni", "zia Maria". La letteratura delle ordinanze di custodia cautelare contempla tante parole in codice. Ma fino a mercoledì 30 novembre, all'appello mancavano le chewing-gum. A introdurle ci ha pensato Rocca Orietta Pace, arrestata per corruzione nell'ambito dell'indagine che ha portato in carcere anche Franco Nicoli Cristiani, vicepresidente del Consiglio regionale lombardo.

In una conversazione catturata dalle cimici degli inquirenti la donna avrebbe chiamato "Big Babol" le banconote da 500 euro. Forse per il loro colore violetto, ipotizza il Corriere della Sera. Fantasia a parte, sono i soldi che avrebbe consegnato il 26 settembre scorso a Milano al responsabile degli staff dell'Arpa della Lombardia, Giuseppe Rotondaro, che a sua volta li avrebbe "girati" proprio al politico del Pdl.

Non è certo la prima volta che il linguaggio cifrato arricchisce le indagini su episodi di corruzione. Uno degli ultimi casi è emersi in settembre con un giro di tangenti legato alla vendita di prodotti di aziende del gruppo Finmeccanica. In un documento i magistrati della procura di Napoli sottolineano il riferimento a nomi in codice per riferirsi a pagamenti già effettuati, ad altre richieste di denaro e alle somme da erogare: si ripetono, così - in maniera inequivocabile, secondo il pm - espressione come ''aprire il ristorante'', ''pagare i coperti'', ''pagare un altro pranzo'', ''lasciare la mancia''.

Il linguaggio della tavola sembra essere il più gettonato. Soprattutto quando si parla di droga. E' il caso di un pescivendolo arrestato a metà novembre in provincia di Palermo. Nella telefonata intercettata dai Carabinieri l'uomo dice: "Va bene prepara qualche 5 chili di gamberoni una cosa di queste tanto per mangiare questa sera va bene?...Sto arrivando, ciao''. Ma secondo gli inquirenti si riferisce in realtà alla cocaina.

Qualche giorno prima un'organizzazione criminale sgominata in Calabria aveva dimostrato di andare oltre il bancone della "pescheria": gli arrestati, secondo quanto emerso dalle indagini, usavano un codice di riferimento utilizzando parole come ''frutta'' e ''caffè". Amanti dell'"espresso" sono anche le persone finite in manette nel 2010 con l'accusa di spaccio a San Basilio, estrema periferia romana. Nel dizionario non può mancare la "mozzarella", come si è scoperto a Napoli in un'operazione del 2010. Nelle stesse indagini gli inquirenti annotano che tra le parole in codice utilizzate per riferirsi alla cocaina ci sono anche "scarpe", "documenti", "cd" e "bottiglie".

C'è poi chi preferisce personificare le sostanze stupefacenti. In maggio i Carabinieri di Ischia si sono imbattuti nella "zia Maria", parola in codice per la marijuana e nella "sposa", cioè la cocaina. Due pusher romani arrestati nel 2010 sono andati oltre: chiamavano l'hashish con vari nomi come "Bruno" e "Fausto". Niente in confronto ai componenti di un'organizzazione, italiani e stranieri, che nelle loro conversazioni scomodavano "Topo Gigio", "Lola", "Paperino", "Pollicino", e "Balù". La polizia di Perugia che nel marzo 2010 li ha arrestati, non ha potuto fare a meno di battezzare l'operazione "Disneyland".

Tra i casi più celebri infine c'è quello del "cavallo" intercettato in una telefonata tra il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, condannato in appello a 7 anni per concorso in associazione mafiosa, e Vittorio Mangano, criminale legato a Cosa Nostra nonché stalliere nella residenza di Silvio Berlusconi ad Arcore. Per l'accusa l'animale altro non era che una parola in codice per riferirsi a una partita di droga. Una tesi sempre respinta dal senatore.

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