Casa dello Studente, la strage per un pilastro risparmiato

Cronaca
Ciò che resta della casa dello Studente, a L'Aquila
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6 aprile 2009: L'Aquila cade sotto i magli di un sisma che provocherà centinaia di vittime. Tra i palazzi crollati, anche la residenza studentesca. Nel "Buco nero" Giuseppe Caporale ricostruisce le complicità di quella tragedia. Leggine un estratto

di Giuseppe Caporale

Il custode della verità dei crolli del terremoto è un professore con la barba e dall’aria paciosa, docente della facoltà d’Ingegneria dell’Università dell’Aquila.
Per i suoi studenti Antonello Salvatori è l’orso Yoghi, ma il soprannome è solo un modo per esorcizzare la difficoltà di superare gli esami con lui. Insegna Scienze delle costruzioni e la Procura della Repubblica gli ha affidato il compito (insieme al collega Francesco Benedettini) di indagare sui 189 crolli killer: cioè quelli in cui si sono verificati decessi, dove ci sono state colpe.
Il professore è entrato in tutti i palazzi, ha effettuato carotaggi, studiato le murature e i solai, analizzato le macerie, letto i progetti e i documenti recuperati tra le polveri dell’Ufficio del Catasto, crollato il giorno del sisma. Sa perché sono morte 309 persone. Conosce il nome dei responsabili. È al corrente delle cause e della verità di questa tragedia.
Trovarlo e convincerlo a incontrarmi non è stato semplice, tutt’altro. «La Procura non vuole che abbia contatti con i giornalisti…» esordisce al telefono.
Quando però gli spiego che non sono a caccia di un articolo sensazionalistico, ma che lavoro a un libro per provare a raccontare le verità del terremoto, accetta. Ci incontriamo al Bar Hollywood Cafè, a Pettino, il quartiere costruito su una faglia – sulla ferita di un vecchio terremoto – grazie a una variazione urbanistica voluta dalla politica. E, incredibilmente, da queste parti le case hanno retto. Almeno in parte. «Il terremoto del 6 aprile non ha interessato la faglia di Pettino», mi spiega Salvatori, «e soprattutto qui le case sono state costruite meglio…»
Al bancone del bar, davanti a una tazzina di caffè, il professore è perplesso. Mi spiega che le carte in suo possesso (studi e perizie) non potrei leggerle. Devo aspettare il processo. Attendere i tempi della giustizia. «Ci vuole tempo…» Poi però parliamo dell’Aquila, della madre anziana che non riconosce più la sua città e che vaga in cerca di una casa, della paura per il futuro dei suoi figli. Della ricostruzione annunciata e mai veramente partita. Della lottizzazione selvaggia in nome dell’emergenza. Alla fine, tira un sospiro: «Andiamo nel mio studio…».

Una strage per risparmiare su un pilastro

Migliaia di pagine, 189 perizie. Quando porto la mia pendrive (con dentro la verità sui crolli del terremoto dell’Aquila) a una cartoleria di Chieti Scalo, il commesso rimane incredulo già solo per la dimensione del materiale.
«Stampo tutto?» «Tutto…» rispondo. Bisogna leggere ogni singola pagina per capire. Per sapere. Poche ore dopo, nella sala riunioni della redazione spargo sul tavolo quel mare di fogli, catalogati per palazzo. Quasi d’istinto, cerco subito la perizia della Casa dello Studente. Voglio partire da lì. Ero davanti a quel palazzo il giorno della tragedia, insieme agli studenti sopravvissuti, raccolti sull’aiuola spartitraffico e avvolti nelle coperte. Ricordo la polvere, il sangue nascosto sotto le macerie, i cadaveri blu di otto ragazzi sui vent’anni, la corsa e la disperazione dei Vigili del Fuoco, la conta degli amici che non si trovano. Ricordo le telecamere che spuntavano come funghi, le domande patetiche di alcuni colleghi rivolte agli studenti soverchiati dal dramma. Ricordo la diretta di Porta a porta fino all’estrazione dell’ultimo cadavere.
Poi, nei mesi a seguire, le fiaccolate, le corone, gli addobbi di Natale sull’edificio crollato. Le messe, le promesse dei ministri su fondi che non arriveranno mai. La rabbia dei genitori per i tempi lunghi dell’inchiesta. La faticosa ricerca della verità. Ed ora eccola, la verità, come si legge nel documento redatto dal Pubblico Ministero.

La struttura portante dell’edificio è costituita da telai piani parzialmente collegati tra loro da deboli travi peraltro anche debolmente armate […]. L’ideazione, la progettazione strutturale e i relativi calcoli di dimensionamento, sono carenti per quanto attiene ai principi fondamentali dell’ingegneria sismica, anche considerando l’epoca della costruzione. I calcoli strutturali eseguiti dall’ingegner Claudio Botta [principale indagato per omicidio colposo, n.d.r.] sono stati eseguiti con la schematizzazione dell’edificio a telai piani, che sarebbe andata bene se i telai piani fossero stati progettati e verificati in almeno due differenti direzioni, in ogni ala del fabbricato, come richiesto dalla normativa vigente all’epoca.» Botta invece, racconta la perizia, «ha omesso completamente considerazioni sulle capacità di resistenza sismica della struttura per diverse direzioni di incidenza del terremoto, prevista anche all’epoca, dalla normativa vigente (art. 12 comma b della legge del 25-11- 1962 n. 1684, Provvedimenti per l’edilizia con particolari prescrizioni per le zone sismiche). Mancano inoltre completamente i disegni delle travi di collegamento secondarie, quando presenti, e delle travi di bordo. Non si comprende come l’impresa costruttrice abbia potuto eseguire la costruzione della struttura non disponendo dei disegni esecutivi di tutti gli elementi strutturali, sia principali sia secondari. Nella relazione di calcolo non esiste traccia del calcolo di dimensionamento dei solai, così come mancano i relativi disegni esecutivi.

Nel 1979 La Casa dello Studente da semi-deposito e palazzina a uso uffici cambia destinazione: diventa residenza universitaria, senza che il rettorato prima e la Regione poi provvedano a adeguare la struttura. Ma è sul crollo che la relazione è impietosa:

Il piano terra è rimasto schiacciato sotto i piani superiori dell’edificio, che sono scesi di un livello. Questo meccanismo si è probabilmente innescato a causa della minore presenza di tramezzi e tamponature nel piano terra rispetto ai piani superiori, ma anche a causa di carenze evidenti nel calcestruzzo e anche alla circostanza della parziale dissimmetria di questa ala nei confronti delle altre ali della stella: nella quale il ruolo assunto dal pilastro 19 per l’ala ovest, e dal pilastro 18 nell’ala sud, non è svolto da alcun pilastro nell’ala nord.

Il progettista si dimenticò un pilastro, quindi.

Tale pilastro sarebbe dovuto capitare laddove si incontrano due travi, una in falso sull’altra. In pratica, per risparmiare un pilastro, è stata creata una configurazione strutturale debole. Ma non è tutto. Inoltre gli esecutori materiali della parte impiantistica non si sono curati del fatto che le tracce per il passaggio delle tubazioni e delle canalizzazioni sono state fatte sugli elementi strutturali dell’edificio (travi e pilastri) asportando porzioni di calcestruzzo che hanno indebolito la sezione resistente di tali elementi strutturali ed esponendo le armature all’aria dando il via a evidenti fenomeni di corrosione che provocano un indebolimento della struttura. Addirittura abbiamo riscontrato che una trave è stata tagliata in corrispondenza del nodo (incrocio con il pilastro) per permettere il passaggio delle tubazioni dell’impianto idrico e termico. Per consentire il passaggio di tali tubi è stata tagliata la trave, forato il calcestruzzo, ed è stata tagliata la staffa in acciaio della trave stessa, indebolendo la sezione della trave in maniera molto importante […]. Dall’analisi del calcestruzzo con prove sperimentali, emerge che il calcestruzzo posto in opera, pur considerando il naturale degrado e invecchiamento, non era conforme alle specifiche progettuali previste nella relazione tecnica. Inoltre esso appare di scarsa qualità, sia rispetto ai criteri dell’epoca, tanto più rispetto ai criteri odierni, ma anche rispetto alle specifiche progettuali. Questo aspetto è sicuramente decisivo nella determinazione delle cause del collasso.

E ancora:

Per quanto concerne le necessarie procedure di manutenzione non risulta essere mai stato richiesto, né eseguito, alcun controllo atto ad avere cognizione delle capacità di resistenza dell’edificio ai carichi verticali e alle azioni orizzontali. L’edificio, che già in sostanza, nasceva con una concezione strutturale non adatta alla resistenza al terremoto, tale è rimasto anche dopo il passaggio di proprietà e anche quando è diventato un edificio pubblico utilizzato come alloggio per studenti.

Furono spesi milioni di euro pubblici per adeguare la struttura, senza che mai nessuno notasse i difetti strutturali, anzi. Quei lavori di «adeguamento» hanno peggiorato le condizioni dell’edificio e contribuito a trasformare il palazzo di via XX Settembre in una tomba.

Nessuno dei professionisti e/o tecnici incaricati di valutare, manutenere, progettare e dirigere lavori sull’edificio denominato «Casa dello Studente», nel periodo compreso tra l’acquisto dell’edificio da parte dell’Opera Universitaria e il crollo parziale avvenuto in data 6 aprile 2009, ha provveduto a effettuare una verifica, sia pure esclusivamente documentale, sulla sua legittimità e sulla rispondenza delle strutture alle norme sismiche vigenti al momento dell’edificazione. Al Genio Civile non è stata presentata alcuna documentazione in merito a modifiche in corso d’opera, inoltre l’attestato di conformità alle norme sismiche è stato rilasciato per un edificio di soli sei piani. In realtà l’edificio è composto da sette piani, di cui due seminterrati, un piano terra, e quattro piani sopraelevati. La presenza del secondo piano seminterrato costituisce anche un illecito dal punto di vista della normativa urbanistica edilizia. La mancata indicazione del piano nel progetto depositato al Genio Civile lascia supporre una analoga mancanza nel progetto assentito dal Comune dell’Aquila con la relativa realizzazione di superfici e volumi in eccedenza rispetto all’assentito, ovvero in abuso edilizio.

Riguardo ai successivi progetti di ristrutturazione: le lacune strutturali emerse dalla precedente disamina non risultano mai essere state oggetto di valutazione da parte dei responsabili dell’Amministrazione dello stabile, dei vari progettisti, dei direttori dei lavori, delle imprese e di tutte le figure professionali che si sono interessate alla vita dell’edificio. Le modifiche apportate alle configurazioni di peso dell’edificio (spostamento o costruzione di nuovi tramezzi) non sono state oggetto di alcuna considerazione minima sul loro impatto sul comportamento strutturale di singole parti dell’edificio o dell’insieme strutturale.

Dal 1979 al 1982 lo stabile diventa proprietà dell’Opera Universitaria:

l’acquisto dell’edificio da parte dell’Opera Universitaria è stato autorizzato dal Ministero della Pubblica Istruzione «previi accertamenti da farsi a cura del prof. Gaudiano con tecnici di fiducia dell’Opera Universitaria.

Accertamenti mai effettuati. Nonostante ciò, il Consiglio di amministrazione dell’Opera Universitaria, con delibera n. 72 del 1979 dichiara: dopo aver effettuato una ricognizione dello stabile e constatato che gli appartamenti, senza effettuare lavori di trasformazione, possono essere arredati ed affittati in tempi brevi…

Nel 1980 però segue un’altra delibera, la n. 180, in cui si decide di apportare consistenti modifiche alla distribuzione interna con la realizzazione, al piano terra, di una biblioteca. Il progetto è affidato all’ingegner Navarra, che predispone una modifica della destinazione d’uso del piano terra senza alcuna verifica della rispondenza dei solai ai nuovi carichi applicati. E ancora:

Dal 1982, la Regione Abruzzo acquisisce l’immobile denominato Casa dello Studente, e si assume la responsabilità in merito alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’edificio. Anche la Regione, al momento dell’acquisizione si limita a una semplice ricognizione dell’edificio. Nel 1992 l’ufficio tecnico del servizio demanio e patrimonio della Regione Abruzzo predispone un progetto di ristrutturazione, poi non attuato, anche in questo caso senza prevedere alcuna verifica dell’adeguatezza dell’immobile dal punto di vista tecnico-amministrativo, e nella relazione tecnica viene evidenziata la scadente gestione dell’immobile, che è stato assegnato all’uso attuale senza realizzare i dovuti adattamenti. Non solo, il fabbricato non è stato mai oggetto, dall’epoca di costruzione, di un intervento organico di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Nel 1999 viene assegnato il contratto di appalto per i lavori di restauro e risanamento conservativo dell’edificio. Ciò ha comportato un consistente aumento dei carichi gravanti sulla struttura portante dell’edificio, oltre il 40 per cento per piano. Nel progetto non viene fornita alcuna indicazione su eventuali opere di rinforzo delle strutture portanti. Nell’anno 2003 viene redatto un ulteriore progetto di variante del secondo stralcio di lavori in cui sono completate le modifiche di natura impiantistiche ed architettoniche. Negli anni 2006 e 2007 vengono progettati lavori volti al cambio di destinazione d’uso del secondo piano seminterrato, volti a trasformare dei locali da caldaia a garage. La perizia conclude che «l’edificio non era adeguato né idoneo alla destinazione d’uso cui era preposto».
©2011, Garzanti Libri, s.p.a., Milano, Gruppo editoriale Mauri Spagnol

Tratto da Giuseppe Caporale, Il buco nero, Garzanti, pp. 200, euro 14,50

Giuseppe Caporale è giornalista di «Repubblica» e direttore editoriale del gruppo televisivo Rete8-Telemare in Abruzzo. È autore del documentario Colpa Nostra, basato su un'inchiesta giornalistica sul terremoto dell'Aquila e sulle tangenti che c'erano prima dell'avvento del sisma, vincitore del Salerno International Film Festival, in corsa per i David di Donatello.

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