Il 24 marzo parte il dibattimento per la morte del giovane romano. L'avvocato Anselmo, che assiste la famiglia, a Sky.it: "L'accusa di lesioni è ridicola e non è rispettosa dei parenti del ragazzo. Puntiamo a dimostrare che Stefano è morto per le botte"
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di Cristina Bassi
“L’accusa di lesioni è ridicola. Ed è una violenza alla famiglia”. L'avvocato Fabio Anselmo si prepara al processo Cucchi, che parte a Roma il prossimo 24 marzo. A giudizio per il 32enne morto il 22 ottobre 2009 nel reparto carcerario dell’ospedale Pertini sono finite 12 persone, tre agenti di polizia penitenziaria e nove tra medici e infermieri dell’ospedale. Le accuse sono di lesioni personali per gli agenti e di abbandono di persona incapace per otto dei sanitari, la nona risponderà di abuso d’ufficio e falso. Il funzionario del Dap (il Dipartimento di amministrazione penitenziaria) Claudio Marchiandi è già stato condannato per falso e istigazione al falso a due anni di carcere con il rito abbreviato.
Lesioni e non omicidio, colposo o preterintenzionale: è proprio l’accusa che amareggia la famiglia di Stefano Cucchi. La procura l’ha formulata sulla base della perizia di Paolo Arbarello, direttore dell’Istituto di Medicina legale della Sapienza. Secondo Arbarello, Cucchi è morto “per negligenza dei medici. Si sono registrate omissioni e negligenze nelle terapia, un paziente in quelle condizioni doveva essere trasferito in un reparto adeguato e andava trattato diversamente da come è stato fatto. Il ragazzo non è stato curato bene, non è stata colta la gravità della sua condizione, non sono state messe in atto terapie che avrebbero potuto scongiurarne la morte”. Quanto alle lesioni riportate, per gli esperti della procura non sono state mortali e comunque “non è nostro compito – scrive ancora il perito – entrare nelle modalità secondo le quali sono state provocate queste lesioni”.
Per i Cucchi però qualcosa non torna. C’è stata negligenza al Pertini, certo. Ma Ilaria Cucchi e i suoi genitori sono convinti che la causa diretta della morte di Stefano sia il pestaggio subito nella cella di sicurezza del Tribunale di Roma. “Se non fosse stato picchiato, ora sarebbe vivo”, ha scritto la sorella del ragazzo in una lettera molto dura al presidente Napolitano. Da qui la richiesta di un’imputazione per omicidio per i responsabili.
Prima di essere al fianco della famiglia Cucchi, l'avvocato Anselmo ha seguito quella di Federico Aldrovandi lungo il processo che ha portato alla condanna di quattro poliziotti a tre anni e sei mesi di carcere per eccesso colposo nell’omicidio colposo del ragazzo di Ferrara morto nel 2005. Oltre che a un risarcimento alla parte civile di 2 milioni di euro. Anselmo (che si occupa anche del caso di Giuseppe Uva, l’uomo picchiato e morto nella caserma dei carabinieri di Varese) chiama sempre per nome Federico e Stefano e denuncia: "Quando gli imputati di reati così gravi appartengono alle forze dell’ordine, purtroppo è ancora più difficile per le famiglie delle vittime ottenere verità e giustizia. Succede infatti che non ci siano né dialogo né collaborazione con gli stessi pm che portano avanti le inchieste. Il motivo? Una presunzione dell’uso corretto della forza e anche un certo spirito di solidarietà tra istituzioni, che si chiudono a riccio per salvaguardare la propria immagine”.
Avvocato Anselmo, cosa contestate della perizia di Arbarello nel caso Cucchi?
Per noi si tratta di una consulenza devastante, oltre che contraria alla logica. Intanto non stabilisce una causa precisa di morte, poi parla di “soggetto compromesso”, lasciando intendere che Stefano sia entrato in carcere in cattive condizioni di salute. Invece, seppur molto magro, prima di essere arrestato stava bene, era in buona forma, era appena stato in palestra. Per la procura sarebbe morto perché debole è malato, ma questa presunta malattia è dunque arrivata dopo l’arresto?
In pratica ci sono gli imputati per lesioni, ma non è considerata questa la causa della morte.
C’è una palese contraddizione. Anche se Stefano fosse stato già malato, non è possibile dire che le percosse non hanno influito nel causarne la morte. Per noi la negligenza medica come unica causa del decesso è inaccettabile, tanto più che Cucchi è stato nascosto alla vista dei familiari mentre era in ospedale, proprio perché portava i segni del pestaggio.
A cosa punterete in aula?
Questo è un processo che parte zoppo. Chiederemo subito una nuova perizia e quindi che si rifaccia l’istruttoria. Purtroppo bisognerà tornare indietro, perché da un’accusa minore, quella di lesioni, spingeremo perché si passi a una maggiore, quella di omicidio preterintenzionale. La stessa procura riveda la propria posizione, prendendo in considerazione le nostre consulenze. Già il gup ha affermato che le conclusioni delle parti civili richiedono ulteriori approfondimenti.
Ma finora né i pm né il giudice hanno accolto le vostre richieste.
La procura per ora continua sulla propria strada, all’inizio è successo anche nel caso di Federico Aldrovandi. Successivamente però in quel processo è stata riconosciuta l’importanza del ruolo della parte civile, e anche dei media, nell’arrivare alla verità. Sono convinto che anche questa volta la verità verrà fuori.
Qual è dal suo punto di vista il problema con procure e periti in queste vicende?
Innanzitutto i pm dovrebbero rivolgersi per le consulenze medico legali a esperti che provengono almeno da fuori provincia e non a uffici “interni”. Vale a dire non a persone che lavorano ogni giorno a stretto contatto con le forze dell’ordine cittadine, cioè con chi è sotto accusa.
La mancanza di dialogo con le procure secondo lei dipende dal fatto che gli imputati appartengono alle forze dell’ordine?
Certamente. Se a picchiare Stefano fossero stati cittadini comuni, nessun medico legale avrebbe sostenuto che la sua morte è indipendente dal pestaggio e gli imputati sarebbero ancora in carcere. Sia per Federico sia per Stefano ho riscontrato un atteggiamento di sufficienza delle procure verso la parte civile, cioè verso le famiglie. I parenti sono considerati un corpo estraneo, che vuole solo un risarcimento materiale. Avrei voluto vedere più rispetto per loro, perché se il pm dopo Cucchi o Aldrovandi si occuperà di decine di altri casi, la famiglia ha solo un processo per avere giustizia.
Torniamo al pestaggio, come fate a essere sicuri che abbia ucciso Stefano Cucchi?
Sulla base di diversi elementi. Gli stessi medici dell’ospedale hanno chiesto accertamenti per Stefano, perché temevano complicanze che puntualmente si sono verificate. Il medico del carcere lo rifiuta e lo manda in ospedale due volte, perché è preoccupato per le sue condizioni. È tutto nelle cartelle cliniche. Le complicanze sono legate alla frattura vertebrale, che evidentemente è stato un trauma importante. Per la procura, la frattura alla vertebra sarebbe stata antecedente all’arresto, ma guarda caso corrispondeva esattamente all’ecchimosi che Stefano aveva al momento della morte e che si vede nelle drammatiche foto diffuse dalla famiglia, come gli altri segni sul volto. Per non parlare del fatto che nessuno prima si era mai accorto di questa “vecchia frattura”. La causa vera della morte di Cucchi deve essere ancora riconosciuta, se abbiamo torto ce lo dicano su base scientifica, non sostenendo che il decesso è indipendente dai traumi.
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