La Lega, il made in Italy e quei gadget made in China

Cronaca
Il sindaco di Milano Letizia Moratti con la maglietta del brand Milano
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Disegni di legge a tutela dei prodotti italiani, manifesti contro chi investe in altri Paesi, proposte di dazi: dopo tante iniziative del Carroccio in difesa dei prodotti nostrani, è polemica per gli articoli del Comune di Milano realizzati in Oriente

Il Made in Italy è la principale "battaglia da far valere in Europa", "Basta produrre in  Cina o in Turchia" , difendere i prodotti nostrani dall’ "agguerrita e sleale politica di dumping cinese".

E’ la Lega Nord a schierarsi, più di una volta, con toni anche duri, in difesa dei marchi italiani, contro la concorrenza dei paesi emergenti. Tra le iniziative del Carroccio, va ricordata la legge Reguzzoni-Versace, firmata dal presidente dei deputati leghisti Marco Reguzzoni, che prevede "l’etichettatura obbligatoria, nonché l’apposizione del marchio Made in Italy su prodotti tessili, della pelletteria e del calzaturiero le cui fasi di produzione siano state effettuate prevalentemente nel nostro paese e per i quali si possa assicurare la tracciabilità”.

O ancora la mozione del senatore Luciano Cagnin contro la concorrenza cinese, oppure le prese di posizione di Luca Zaia, presidente del Veneto, quando era ministro dell’Agricoltura, a favore di dazi per difendere il mercato europeo da prodotti a basso costo provenienti dall’estremo oriente.

Un’affermazione del made in Italy proclamata a gran voce anche dal Comune di Milano nel presentare in luglio il Brand Milano: gadget di Palazzo Marino, per cui si prometteva, nella fase di realizzazione, di dare "un ampio spazio alla valorizzazione delle eccellenze produttive presenti sul territorio, con il coinvolgimento di aziende milanesi e nazionali".

Peccato che, come ha denunciato il Pd su Facebook, il logo sia quello ufficiale della città Milano, il marchio promette "design 100% made in Milan", ma guardando l'etichetta si scopre che la t-shirt è "Made in Bangladesh", la felpa "Made in Cambogia" e le palline di Natale vengono dalla Cina.

E pensare che, a puntare su un brand cittadino per il marketing territoriale, era stato l'unico assessorato del Comune in mano alla Lega Nord, quello del Turismo, prima con Massimiliano Orsatti e ora con Alessandro Morelli.

L'assessore Morelli, di cui l'opposizione ha chiesto la testa, si è messo sulla difensiva: "Le leggi di mercato ci dicono che solo se ti affidi a una grande impresa di distribuzione - ha detto - i tuoi prodotti finiscono in tutto il mondo. Ed è quello che abbiamo fatto, nel rispetto di tre principi: la promozione della nostra città, l'alta qualità delle merci, e la loro distribuzione nei circuiti commerciali internazionali".

Più sfumata la posizione del sindaco Letizia Moratti che ha promesso una maggiore attenzione al Made in Italy per i souvenir chiamati a portare l'immagine della città nel mondo. "Ci sono già tante aziende milanesi e lombarde che hanno prodotto e producono i nostri prodotti - ha affermato - Naturalmente possiamo intensificare la possibilità di dare lavoro alle nostre imprese, sempre in un ottica di mercato libero".

Incassa il colpo e rilancia invece il leghista Matteo Salvini. "Abbiamo già chiesto all'impresa che ha la licenza per il brand di Milano di rivolgersi solo a aziende milanesi e lombarde - ha detto capogruppo della Lega in Comune - siamo felici che sia stato il Pd a segnalarci una questa situazione, nella quale ci troviamo anche per colpa delle direttive di Bruxelles volute dall'allora presidente della Commissione Romano Prodi".

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