L’appello sulle stragi: “Via il segreto di Stato”
CronacaPolitici, scrittori e associazioni chiedono l’apertura degli archivi sulle bombe degli anni ’70 e ’80. Bolognesi, dell’Unione familiari delle vittime: “Gli attentati sono la punta dell’iceberg, sotto responsabilità che la politica nasconde volutamente”
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di Cristina Bassi
Sulla stagione delle stragi la partita non è chiusa, sono in molti a non arrendersi. Dopo la sentenza di Brescia, che ha assolto in primo grado i cinque imputati per la bomba di piazza della Loggia, i rappresentanti delle associazioni delle vittime degli attentati di quegli anni, insieme a politici, scrittori e giornalisti (tra gli altri, Susanna Camusso, Olga D’Antona, Roberto Saviano, Dario Fo, Benedetta Tobagi) lanciano un appello per togliere il segreto di Stato dai documenti sulle stragi. “Basta parlare di ‘misteri italiani’, si tratta invece di ‘segreti’, cioè di fatti tenuti nascosti volutamente. Scenari di cui le stragi sono solo la punta dell’iceberg”: Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione delle vittime della strage di Bologna e dell’Unione familiari vittime per stragi, non solo ha sottoscritto l’appello, ma spiega anche perché dopo trent’anni ha ancora un senso scavare tra carte e archivi. “Oltre che rivedere le regole – aggiunge –. Per la legge perfino la documentazione sulla battaglia di Caporetto (del 1917, ndr) è inaccessibile”.
Presidente, perché il segreto di Stato è un ostacolo alla verità sulle stragi?
Funziona in questo modo: se durante un’indagine un magistrato si imbatte in elementi, nomi, fatti che coinvolgono ad esempio i servizi segreti o apparati statali che devono rimanere nascosti per motivi di sicurezza, viene posto il segreto di Stato e l’indagine si blocca. Questo succede spesso quando si arriva a uno snodo fondamentale per scoprire la verità, la strage è in molti casi la punta dell’iceberg, sotto rimangono oscuri o si intravedono responsabilità, mandanti, scenari. Capita anche che gli inquirenti non arrivino neppure a certi snodi, perché non ne hanno gli strumenti. Chiediamo quindi che al massimo dopo trent’anni, come prevede la legge, i nomi dei componenti dei servizi o delle istituzioni coinvolti nelle stragi vengano forniti senza lacune alla magistratura. Dopo decenni coprire mandanti e ispiratori politici degli attentati non ha più a che fare con la sicurezza, è solo un modo per garantire impunità ai responsabili.
Vi opponete anche alla proposta, avanzata dalla commissione Granata al Copasir, di reiterare il segreto dopo i trent’anni previsti.
Un provvedimento inaccettabile, vorrebbe dire non arrivare mai alla verità sulle stragi. Sarebbe una condizione inconciliabile con uno Stato democratico, un’ammissione che esistono cose indicibili, che lo Stato vuole nascondere. La legge 124 del 2007 prevede l’apertura degli archivi appunto dopo trent’anni, ma a oggi mancano i decreti attuativi e la norma rimane inapplicata. Significa che il legislatore ha paura che vengano a galla reticenze, connivenze, inefficienze.
Perché citate il modello americano del Freedom of information Act?
Negli Stati Uniti è previsto che dopo un certo periodo tutti i documenti vengano desecretati e resi pubblici. Da noi invece sono fornite solo le carte che vengono richieste. Ma è necessario che chi indaga sappia esattamente cosa chiedere e questo è più difficile di quanto sembri. Anche perché spesso ci si muove seguendo piste suggerite da altri e sappiamo quanto i servizi siano attivi nell’indicare certe piste. La questione quindi è molto più ampia del solo segreto di Stato, basti pensare che sulla strage di Bologna non è stato posto, ma siamo comunque ben lontani dalla verità.
Nel vostro appello ci sono alcuni tecnicismi da chiarire: “archivio corrente”, “archivio storico”, “rogatorie internazionali”.
Per archivio corrente si intende la raccolta dei documenti su fatti in teoria ancora “caldi”, che hanno ripercussioni sul presente e che per questo devono rimanere segreti. Quando questi documenti vengono “declassificati”, passano nell’archivio storico. Le forze dell’ordine hanno propri servizi segreti e archivi interni, che si aggiungono a quelli governativi. In questo mare di carte ci sono alcune storture: l’archivio corrente dei carabinieri, ad esempio, comprende addirittura la battaglia di Caporetto.
Diversa è la questione delle rogatorie internazionali, cioè la richiesta di documenti, di testimonianze, di arresti a uno stato estero utili per un processo italiano. Una volta che la rogatoria viene formalizzata dai magistrati, il governo deve sollecitarne la realizzazione, altrimenti rimane lettera morta o il materiale arriva dopo anni, quando ormai è inutile. Succede nel caso di Ustica, per cui i magistrati romani hanno di recente chiesto rogatorie a Francia, Stati Uniti, Belgio e Germania ed è in attesa. L’esecutivo dovrebbe fare pressione sui governi esteri per ottenere le informazioni, è una questione di dignità nazionale”.
Dopo tanti anni è tanti ostacoli c’è ancora speranza di fare luce sulla stagione delle stragi?
Più che una speranza è una certezza. Ed è proprio grazie all’inchiesta sulla strage di piazza della Loggia che ci siamo convinti che esista materiale interessante su cui indagare ancora. Con le ricerche su Brescia sono emersi fatti, documenti, collegamenti, personaggi che hanno reso più chiari anche aspetti finora sfumati dei fatti di Bologna. C’è molto da portare alla luce, basta volerlo e si arriva alla verità.
Il motivo di chiarire fatti tanto vecchi?
Non stiamo parlando della preistoria, ma dell’attualità. Quei fatti riguardano l’oggi, non un passato ormai sepolto. Si tratta del terrorismo usato come strumento politico per sconvolgere la democrazia e quell’eversione è la causa della precarietà della democrazia presente. Soprattutto i mandanti e gli ispiratori politici di quelle stragi sono tra noi, in molti casi fanno politica. Il minimo sarebbe chiederne loro conto.
Cosa c’entra la volontà politica con lo svolgimento regolare di un processo?
È la chiave di tutto. Le leggi non applicate, quelle applicate male, le condizioni di lavoro proibitive che rallentano l’attività di molti magistrati non sono un caso e neppure disfunzioni del sistema e della burocrazia. Sono piuttosto l’espressione della volontà di non arrivare alla verità. C’è di più: assistiamo ogni giorno al tentativo di confondere le acque su quei pochi frammenti di verità che abbiamo faticosamente conquistato. Il giorno dopo la sentenza di Brescia qualcuno ha dichiarato che non è dimostrato che si sia trattato di una strage fascista, contro ciò che le indagini hanno invece appurato. Di recente inoltre Carlo Giovanardi ha affermato "a nome del governo" che ad abbattere il Dc9 di Ustica è stata una bomba a bordo e non un missile. E quando un sottosegretario dice “è appurato che...”, è naturale che in molte persone, magari non così informate, si insinui il dubbio.